Salve a tutti, e benvenuti in questo capitolo della rubrica "Tra Cinema e Pittura", nella quale mettiamo a paragone scene, sequenze o inquadrature di film ispirate ad opere pittoriche, analizzando le corrispondenze sul piano cinematografico e storico-artistico. Ringrazio Federica per averci permesso di postare sul suo sito, sperando di poter dare lui(e ai suoi lettori) un contenuto interessante e stimolante.
"Kris Kelvin: Ci ruba i pensieri, ci mangia vivi per sputarci in faccia le nostre
ossessioni fatte carne. Dottor Snaut: Ma perché andiamo a frugare l'universo quando non sappiamo niente di noi stessi?
Introduco questo articolo dicendo che l'opera di Tarkovskij in questione, come tutte le sue opere(mi riferisco anche ad un precedente capitolo di "Tra Cinema e Pittura" che potete trovare a QUESTO LINK), non può essere sviscerata in maniera esaustiva in questo tipo di post in quanto non è l'intento suo quello di rivolgersi direttamente all'intero film, quanto più al rapporto – indubbiamente contestualizzato – di un suo frammento con un'opera pittorica, la quale, non avendo effettivo collegamento con esso nella sua interezza, mi porta a non poter divagare eccessivamente sulla pellicola per questioni di coesione del mio testo. Cionondimeno non mancherò di dedicare una recensione intera, prima o poi, a questo che è uno dei migliori film della storia del cinema senza ombra di dubbio – come tra l'altro tutti quelli del regista sovietico.
"Solaris" non è la storia di un uomo nello spazio profondo, è la storia di un luogo di cui non conosce assolutamente nulla e che cerca di comunicare con gli esseri umani attraverso un linguaggio piuttosto peculiare che impedisce un vero e proprio dialogo. Proprio in virtù di questa impossibilità, il viaggio dell'uomo - e non a caso utilizzo il termine 'uomo' per sottolineare un concetto generale ed ampio - non assume i connotati di un rapporto con qualcuno che non sia egli stesso. "Solaris" è il racconto di un percorso, che in sé vede tutti gli elementi tipici dell'opera di Tarkovskij: un viaggio dunque che vede il suo punto più alto proprio nel ritorno a casa, nella propria patria, dopo il contatto con l'ignoto(come accade con la Zona in "Stalker"), nel nucleo familiare a cui il regista è sempre stato morbosamente attaccato. La storia di un ritorno piuttosto che di un'andata.
Non uscire da te stesso, rientra in te: nell'intimo dell'uomo risiede la verità.
Autore: Rembrandt(1606-1669) Titolo: Ritorno del figliuol prodigo(De terugkeer van de verloren zoon) Data: 1668 ca Ubicazione: Museo statale Ermitage, San Pietroburgo Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 262 x 205 cm
Importante è leggere la parabola dal Vangelo di Luca 15, 11-32 per poter approcciarsi alla scena che il pittore olandese rappresenta su questa tela:
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»
Rembrandt dipinge questa tela alla fine della sua vita, dopo vari eventi a sconvolgere la sua essenza di uomo, e in particolare, di padre(la morte di suo figlio nel 1668). Ciò che rappresenta — e il modo con cui lo fa — è dunque strettamente legato alla sua condizione proprio in quegli ultimi anni.
Indubbiamente i personaggi principali del dipinto sono il padre ed il figlio, elementi della composizione fortemente in luce rispetto agli altri, che sembrano quasi scomparire. Le mani di lui sono il punto più in luce dell'intera opera, diventano il nucleo dell'intero dipinto e dal quale la luce quasi si irradia sui corpi di entrambi.
Un figlio stanco, rasato(chiaro simbolo di perdita della propria personalità e dignità di uomo), si presenta al proprio padre vestito di stracci, logorato e con i piedi piagati. La sua espressione è carica di emozione, quasi priva di pennellate chiare e precise che ne delineino i tratti. Unico tratto che ricorda la sua vecchia condizione di nobiltà(spirituale e materiale) è la piccola spada legata al fianco.
Il personaggio sulla destra, il fratello maggiore, espone chiaramente i suoi tratti distintivi in quanto nobile, con un vestiario ed una posizione di un certo rigore formale. Contemporaneamente è chiaro il suo dissenso per la decisione del padre, seppur, non potendo far nulla, è costretto ad accettarla.
Infine vi sono altre due figure che non sono chiaramente identificabili, la quale presenza nel dipinto ha valore in relazione ai loro sguardi e proprio al fatto che siano in disparte, come se stessero timidamente e maliziosamente giudicando l'operato del loro — probabile — signore.
Ciò che emerge dalla tela è l'affetto incondizionato di un uomo che prima di essere un signore è un padre, cieco non a caso, vedente oltre l'aspetto materiale e raggiungente di una percezione che solo un genitore può avere. L'amore per il proprio figlio trascende qualsiasi altra cosa, qualunque suo vissuto e atteggiamento, che viene nullificato totalmente nel momento dell'inchino, estremo segno di umiltà da parte del giovane il quale, gettandosi tra le braccia di suo padre, ne accetta la sua autorità e spera nella sua benevolenza. Benevolenza di cui egli è permeato, e che dimostra in un abbraccio che è incredibilmente caldo e dolce(da notarsi la maniera in cui Rembrandt dipinge le mani del padre: quella destra è più affusolata, delicata, femminile quasi; quella sinistra invece è ruvida, possente, da uomo anziano e forte).
Un abbraccio dunque che non stringe ma accoglie, implicando dunque un'accettazione verso il figlio le cui azioni non sono oramai più importanti e influenti in quella che sarà la sua nuova vita, carica degli insegnamenti appresi durante un viaggio di purificazione, conclusosi con uno sguardo dentro se stessi ed una presa consapevolezza dell'importanza di tornare. Perché la parabola del figliuol prodigo, e di Kris Kelvin, è la storia di un ritorno.
Il ritorno a casa di Kelvin è probabilmente il momento più importante dell'intera pellicola, un epilogo che sancisce il viaggio del protagonista all'interno dell'anima dell'uomo, del confronto con se stesso e con un'entità astratta che porta in luce ciò che razionalmente e fisicamente non sarebbe stato possibile concepire.
Dunque un ritorno dato dalla consapevolezza dei limiti dell'essere umano, dalla presa coscienza della propria condizione di entità le quali hanno ancora così tanto da imparare su loro stessi, attraverso fallimenti e dolori.
Kris Kelvin parte senza l'approvazione di suo padre verso il viaggio che sarebbe potuto essere l'ultimo dello psicologo, il quale avrebbe vissuto sapendo di non aver salutato suo padre, dopo alcuni giorni trascorsi nella dacia di famiglia, proprio per respirare l'aria di casa, prima della partenza. Allo stesso modo suo padre, viene profondamente segnato dalla mancanza di un vero e proprio congedo.
Tarkovskij decide dunque di riprendere l'opera di Rembrandt inscrivendola perfettamente nel suo stile, nei suoi temi cari e nell'atmosfera stessa del film. L'importanza del nucleo famigliare, il ritorno a casa, la costante e oppressiva nostalgia che permea la navicella spaziale: sensazioni che esplodono nell'abbraccio finale tra i due, in una sequenza di incredibile potenza, così riuscita grazie anche alla bravura attoriale di Donatas Banionis, il quale, cadendo letteralmente ai piedi di suo padre, che con austerità e fissità lo accoglie nuovamente "a casa", conferisce al tutto un senso di pathos estremamente grande(proprio qui entra in gioco la capacità del cinema, a differenza della pittura, di mostrare un "prima" o un "dopo", conferendo alla sua "versione del quadro" una forma peculiare, che si muove nello spazio e nel tempo).
Il regista non muove la macchina da presa inizialmente, e i due personaggi restano immobili in tale posizione per tutta la durata del dolly successivo, che diventa poi una panoramica aerea, fino a chiudere il film. La scena dunque è, come per il quadro di Rembrandt, altisonante, carica, forte. Il figliuol prodigo e Kris Kelvin sono cambiati, hanno avuto a che fare con la vita e loro stessi. Il genitore invece no; il suo amore è incorruttibile e puro. L'amore che solo un genitore può dare. Vero, Andrej?
Ringrazio nuovamente Federica e vi invitiamo dunque a dare un'occhiata a La tomba per le lucciole, nel quale potrete trovare articoli riguardanti Cinema, Videogiochi e Libri, nonché tutti gli altri episodi di "Tra Cinema e Pittura". Speriamo che l'articolo sia riuscito a suggerire qualche prospettiva diversa per la fruizione del film e che la rubrica sia stata di vostro interesse.