top of page

La tempera


Con il termine di tempera non si deve pensare solo ai colori che comunemente vediamo oggi vendere nei negozi di cartolibreria o di pittura, ossia quelli venduti nel tubetto a fabbricazione industriale e che ci venivano richiesti quando andavamo a scuola. Con il termine tempera si indicava, già in età antica, in quanto è si è diffusa prima dell'affermarsi del colore ad olio, quella tecnica che usa acqua per sciogliere i colori e come agglutinante una sostanza diversa dall'olio, come emulsioni di uovo, latte, lattice di fico, colle, gomme ecc...

Il supporto usato prevalentemente è il pioppo nel sud-Europa e la quercia nel Nord, ma si potevano trovare anche il noce e l'abete. Importante era vedere che il legno non avesse residui di resine che sono dannose per il dipinto. Il pericolo dei tarli poi era sempre dietro l'angolo, tanto che in dei periodi si cominciò ad usare delle sostanze apposite per contrastarli. Anche la stesura di vernici e impasti ai lati serviva per proteggere da agenti esterni.

Il legno scelto doveva essere il più compatto possibile, senza nodi, oppure se ce ne fossero, dovevano essere spianati, ma senza lisciarlo troppo altrimenti non avveniva la presa dell'imprimitura. Le assi venivano poi incollate con caseina e calce. Le migliori si rivelavano sempre quelle prese dal tronco in senso radiale. La giunzione delle assi si faceva con cavicchi di legno inseriti negli spessori di congiunzione.

Successivamente le linee delle assi venivano coperte con strisce di tela di lino. Si passava poi un primo strato di colla e una volta asciutto, si passava un unione di gesso e colla; dopo alcuni giorni veniva lisciato. Gli strati di gesso potevano arrivare fino ad otto. Per farla asciugare si esponeva al sole e solo dopo si passava alla raschiatura e alla pulitura.

L'uso della tempera ebbe tre periodi differenti:

1-prima del Due-Trecento esisteva la tecnica delle sovrapposizioni successive di colore;

2-nel Trecento e Quattrocento il colore veniva usato per accostamento;

3-dopo il Quattrocento si passò alle velature successive date per trasparenza.

Durante la prima fase il pittore precedeva in questo modo: disegnava i profili delle figure, stendeva i colori locali per poi determinare i rilievi, le incavità delle figure e alla fine ripassava i contorni.

Durante la seconda fase, come si è accennato si procede per accostamento e fusione dei colori. Il pittore disegna sul gesso i visi e le pieghe con il carbone. Una volta fatto questo porta via tutta la polvere di carbone e fa le ombre del viso. Per quanto riguarda il colore non si dava prima tutto un colore e poi un altro, al contrario si mettevano tutti i colori zona per zona fino alla fine.

Soltanto dalla metà del Quattrocento si passò all'uso della velatura, che riempiva il disegno per trasparenza e modificava il colore sottostante. La fase più importante è quella del disegno, che veniva realizzato tutto con i chiari e gli scuri. Tramite la velatura del colore si ottenevano delle gradazioni più dolci e luminose.

In ultima analisi si deve fare una distinzione tra tempera magra e tempera grassa o ad uovo.

La tecnica della tempera magra è quella più semplice e fa uso di acque e colle vegetali o animali.

La tempera grassa o ad uovo va stesa prima a velature e poi rifinita a tratteggio. Per rendere i colori più brillanti si possono aggiungere olii, resine e gomme.

Importante accennare al fatto che tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento in Italia si usò una tecnica mista che mescolava tempere a colori a base di olii o resine. Questi colori venivano stesi per velature trasparenti dopo che era stato steso uno strato di vernice sulla tempera. Come già accadeva per la tecnica ad olio, la vernice si poteva trovare anche in strati intermedi e non solo come fissativo e protezione del colore.

Federica Pagliarini

150 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

La pittura ad olio

Contrariamente a quanto ci dice Vasari, la pittura ad olio non venne inventata da Van Eyck e dai pittori fiamminghi. Questa tecnica è molto più antica, ne parlava già Cennino Cennini nel suo Libro del

bottom of page