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Emozione Arte

Michelangelo e il rilievo della ''Centauromachia''


La “Centauromachia” (1492) di Michelangelo è una delle primissime opere dell’artista giovane, quando si trovava alla corte dei Medici, nel giardino di Lorenzo il Magnifico.

Da sempre si discute a quali modelli possa essersi ispirato l’artista, essendo la “Centauromachia”, una delle prime opere in cui Michelangelo inserisce una grande dose di potenza e un’evidente torsione dei corpi (che poi vedremo in tante opere successive; basti pensare alla torsione delle figure del “Tondo Doni”). Sappiamo con sicurezza che, un modello a lui molto vicino poteva essere stato un rilievo che rappresentava una scena di battaglia realizzato da Bertoldo di Giovanni. Quest’ultimo era un maestro privato che lavorava proprio nel giardino del Magnifico (e per questo Michelangelo l’avrà sicuramente visto). La scena di Bertoldo di Giovanni rappresenta la battaglia tra romani e barbari, ed è datata 1475 circa. È un rilievo bronzeo, da cui spiccano figure in una torsione e concitazione portata alle stelle.

Una recente scoperta ha messo però in evidenza un altro modello a cui Michelangelo avrebbe potuto ispirarsi. Sto parlando di un gruppo marmoreo raffigurante tre satiri in lotta contro un serpente. L’opera venne alla luce nel 1489 a Roma, presso il Viminale e andò ad abbellire le collezioni di antichità classica di Lorenzo de’ Medici. Qui, Michelangelo studiò e si impratichì. È quindi molto plausibile che abbia visto l’opera con i propri occhi. Nel 1492, quando morì il Magnifico, si persero le tracce della scultura, fino a quando non venne ritrovata nel 1937. Solo nel 2006 si cominciarono a farne studi approfonditi, mettendola in relazione con la “Centauromachia” di Michelangelo. Il gruppo scultoreo vede infatti i satiri contorcersi su se stessi per sconfiggere un serpente. E la loro posizione sembra essere stata copiata dall’artista, in particolare per le due figure che si trovano al centro della scena. Una figura è a mezzo busto con il braccio destro alzato e un’altra tiene in mano una grande pietra. Inoltre i parallelismi tra i due rilievi sono evidenti nella superficie poco levigata e poco abbozzata. Questa caratteristica sarà tipica anche di opere come il “Tondo Pitti” e il “Tondo Taddei”.



Ma che cosa rappresenta la “Centauromachia” di Michelangelo? Molto probabilmente è una parte della storia delle nozze di Piritoo, re dei Lapiti, con Ippodamia, raccontate da Ovidio nelle sue “Metamorfosi”. Alle nozze erano stati invitati dei centauri che, ubriachi, fecero scoppiare una battaglia per conquistare le donne. I centauri alla fine vennero sconfitti, anche grazie all’intervento di Teseo, ritratto forse nell’uomo più giovane che ha una pietra in mano, nell’atto di scagliarla contro qualcuno. Riconoscere le donne è purtroppo molto arduo, dato che, la muscolatura possente che realizzava Michelangelo, non permette una distinzione netta tra i due sessi, soprattutto in una condizione di corpi aggrovigliati come questa. È stata però individuata una figura femminile, grazie alla presenza dei capelli lunghi e si troverebbe a destra del rilievo.


Molto interessante è vedere nella “Centauromachia” il primo autoritratto dell’artista. Si identifica nella figura più anziana di tutte, con la barba e una calvizie pronunciata. Viene definito “criptoritratto” classico. Già in ambito greco e romano se ne parlava. Fidia, uno degli scultori greci più importanti, nel V secolo a.C. ne faceva uso. Il biografo Plutarco, nelle sue “Vite parallele”, in particolare nella vita di Pericle, parla dello scudo che la statua della dea Atena teneva in mano all’interno del Partenone. Qui ci sarebbero due criptoritratti. L’autore dello scudo e della statua della dea era proprio Fidia che si ritrasse nella figura di un uomo calvo mentre scagliava una pietra durante una battaglia di Amazzoni. L’artista non poteva ritrarsi con il proprio volto, in quanto si pensava che il ritratto potesse portare fama sconsiderata e attrarre così invidie. Con l’invenzione del criptoritratto, il pittore ha raggiunto l’immortalità, ritraendosi indirettamente sulla sua opera.

Sicuramente Michelangelo conosceva questa storia e non se la lasciò sfuggire. Dimostrò così la sua erudizione, oltre che porsi come spartiacque tra l’antichità classica e il Rinascimento.

La “Centauromachia” dimostra che le opere d’arte nascono da un confronto con altre opere, sia che queste siano presenti nel momento in cui si realizza l’opera o che siano passate e magari scomparse. Nel rilievo è chiaro un accenno all’inizio della tecnica del “non finito” di cui Michelangelo farà ampio uso successivamente. Alcune parti sono solo bozzate e sembra che dalla pietra debba uscire qualche altro uomo per combattere valorosamente contro il nemico.


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