L’”Amor vincitore” o anche detto“Amor vincit Omnia” è l’unico quadro di Caravaggio ad avere un soggetto mitologico. È stato commissionato da Vincenzo Giustiniani intorno al 1601-1602. Opera controversa, di cui ancora non si conosce bene la finalità, rappresenta un giovane Amore alato in una posa che si potrebbe definire “osé”. Ha infatti le gambe volutamente aperte, con il ginocchio sinistro poggiato su un ipotetico sgabello coperto da un telo. Nella mano destra impugna delle frecce e a terra vediamo un gran numero di strumenti musicali e oggetti che rappresentano le varie attività dell’uomo. Oltre ad un violino e a un liuto, ci sono un compasso e una squadra, una parte di un’armatura, una corona d’alloro e si intravedono dei fogli scritti, forse parte di un volume. Le ali sono un qualcosa di magnifico. Sono ali di aquila, quelle che, Orazio Gentileschi, pittore suo amico, prestò al Merisi e che vengono menzionate durante il processo intentato da Baglione, di cui parleremo a breve. Caravaggio si è quindi basato su ali d’uccello vere e questo spiega la straordinaria verosimiglianza con la realtà.
Il giovane Cupido ha un’espressione quasi sfrontata e sicura di sé. Non ha nessuna vergogna a esibirsi nudo, anzi sembra volersi mettere volutamente in mostra.
I significati dati al dipinto sono molti e ancora oggi non c’è univocità tra la critica. Secondo le fonti del XVII secolo, Caravaggio avrebbe rappresentato il trionfo dell’amore terreno sulle arti e le scienze. Si rifarebbe alla frase di Virgilio, scritta nelle “Bucoliche” che così recita: «Omnia vincit amor et nos cedamus Amori». Ma gli oggetti sparsi per terra, di cui abbiamo accennato sopra, possono essere ricondotti anche alla figura del Giustiniani e alla sua famiglia. Il giovane Amore incarnerebbe allora tutti i suoi interessi culturali per le arti e le scienze (di cui possiamo trovare testimonianza nei suoi “Discorsi”) e si collegherebbe all’idea che l’amore sovrasta ogni cosa.
Inoltre, non possiamo non notare come l’inserimento di strumenti musicali (resi con una cura dettagliata dei particolari) sia un elemento ben presente già nelle prime opere del pittore. Anche nel “Suonatore di liuto” (in entrambe le versioni di San Pietroburgo e del MET di New York) sono presenti gli strumenti musicali. Sembra siano da collegare all’interesse che aveva il cardinale Del Monte (presso cui Caravaggio soggiornò diversi anni a Roma) per la musica. Molto probabilmente quindi, violini, liuti e spinette erano visibili a casa del cardinale e Caravaggio non avrebbe fatto altro che copiare da modelli veri. La sua conoscenza ritorna così anche nell’”Amore vincitore” per Vincenzo Giustiniani.
Ma dove troviamo una prima menzione di questo quadro? Nel processo che Giovanni Baglione (nemico e biografo di Caravaggio) intentò nell’agosto 1603 contro il Merisi, Orazio Gentileschi, Onorio Longhi e Filippo Trisegni. L’accusa, come forse la maggior parte saprà, era stata fatta per delle poesie ingiuriose e burlesche che avrebbero scritto contro il Baglione. Quando Gentileschi venne interrogato, saltarono fuori notizie molto interessanti. Dice infatti che, una volta che Caravaggio terminò il suo “Amore vincitore”, Baglione realizzò un quadro con un medesimo soggetto. Era in corso una vera e propria battaglia per decretare il miglior dipinto. I quadri sarebbero stati esposti nella mostra, allestita ogni anno il 29 agosto, nella chiesa di San Giovanni Decollato. Baglione espose un “amor divino” per il cardinale Benedetto Giustiniani in aperta polemica contro l’”amor terreno” di Caravaggio. In ogni caso al cardinale piacque di più quello del Merisi. Le due opere (quella del Baglione e quella del Merisi) si trovano oggi a Berlino, alla Gemäldegalerie. La seconda versione dell’”Amor divino” (1602) di Baglione, citata da Gentileschi nell’interrogatorio, si trova invece a Roma a Palazzo Barberini. La data 1602 è quindi considerata un “terminus ante quem” per la realizzazione del dipinto di Caravaggio. Anche Gaspare Murtola gli dedicò tre poemi pubblicati nei “Madrigali” intorno al 1604 (non erano presenti nell’edizione del 1601). Inoltre il modello per il giovane Amore sembra essere lo stesso che posò anche per gli angeli della “Conversione di San Paolo” e nella seconda versione del “San Matteo e l’angelo”.
L’opera rimase nelle mani dei Giustiniani fino al 1815, per passare poi al re di Prussia insieme al nucleo della sua collezione.