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Il ''Cenacolo'' di Leonardo


Il “Cenacolo” di Leonardo da Vinci è una delle opere più famose al mondo, insieme alla “Gioconda”. Si trova nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano ed è tuttora visitabile (anche se con attese anche molto lunghe, dato che non possono entrare più di quindici persone a volta ed è obbligatoria la prenotazione). Da chi venne commissionato? Si pensa da Ludovico Sforza, vista la presenza degli stemmi di famiglia nelle lunette sopra il dipinto. Inoltre è conservato un appunto di Ludovico Sforza stesso, del 19 giugno 1497, con una nota di pagamento dell’amministrazione del duca. Anche Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, con cui si recò in Francia (precisamente ad Amboise) e dove incontrò Leonardo, rimanda allo Sforza come committente.

Il dipinto era molto conosciuto già al tempo di Leonardo. Matteo Bandello aveva avuto modo di conoscere e vedere Leonardo all’opera, dato che viveva nell’edificio per motivi di studio. Nella sua “Novella LVIII” parla dell’eccessiva lentezza nell’esecuzione del “Cenacolo”. Conosciamo la lunga gestazione delle opere leonardesche, il suo voler studiare ogni dettaglio, il soffermarsi sulla tecnica esecutiva per raggiungere quello “sfumato” di cui ancora oggi tanto si parla. Questo è il motivo principale per cui le tecniche usate dal pittore erano sempre diverse: voleva trovare quella più adatta per raggiungere lo “sfumato” da lui tanto predicato. Queste le parole del Bandello:

«Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove.» [Novella LVIII]


Leonardo non era quindi continuativo nel lavoro, a volte si assentava per giorni, a volte si fermava solo per dare qualche pennellata e rimaneva lì fermo a riflettere per ore. Chissà cosa pensava in quei momenti!

Quale tecnica utilizzò? Come abbiamo detto prima, ne sperimentava sempre di nuove e anche questa volta fu così. Non si tratta di affresco, ma di una tempera mista, molto simile a quella che si usava al Nord. La preparazione era composta da creta e colla, sopra la quale veniva steso uno strato spesso di tempera d’uovo grassa. L’olio era davvero molto poco. A causa di questa tecnica, il deterioramento fu precoce. Già nel corso del XVI secolo si cominciò a rovinare e si susseguirono numerosi interventi di restauro. Il primo è accertato nel 1726, l’ultimo, il più lungo, è stato terminato nel 1999 (era iniziato nel 1977).

L’opera si trova posizionata nel lato nord del refettorio e sembra sia stata posta qui a seguito dei lavori di ristrutturazione e allestimento del convento. Ludovico il Moro aveva dato inizio ai lavori per creare un mausoleo di famiglia.

Indicazioni sulla datazione del dipinto, si trovano nelle lunette. Vediamo le date 1495 e 1496. Leonardo aveva infatti da poco interrotto i lavori per il grande monumento equestre a Ludovico Sforza e quest’ultimo inviò il bronzo a Ferrara ordinando che fosse fuso per creare dei cannoni. Il “Cenacolo” fu terminato nel 1497 e lo possiamo accertare dalla sua presenza nel testo del Pacioli, “Divina Proportione” del 1498.

Il soggetto dell’opera è, come dice il titolo, l’ultima cena di Cristo con i suoi discepoli. Precisamente Leonardo immortala il momento in cui Gesù rivela che uno di loro lo tradirà. Lo sgomento e il panico regnano così sovrani. Sembra che il pittore abbia analizzato in modo particolareggiato i moti dell’animo di ogni personaggio. È infatti certo lo studio sulle caratteristiche fisiognomiche dei suoi contemporanei che poi verranno trascritte tempo dopo nelle sue note (nel Codice Forster). Ancora oggi l’opera desta stupore, perché non sono chiari alcuni atteggiamenti. Sono state date tante interpretazioni, anche romanzate (basti ricordare il “Codice da Vinci” di Dan Brown), ma nessuna è certa e inconfutabile.



Sono stati identificati tutti gli apostoli grazie ad una copia del “Cenacolo” conservata a Ponte Capriasca, dove accanto ad ogni personaggio, è scritto il nome. Anche se non tutti sono d’accordo in maniera unanime. Ad oggi l’identificazione dei personaggi risulta in questo modo, da sinistra a destra: Bartolomeo, Giacomo minore, Andrea, Giuda, Pietro, Giovanni, Tommaso, Giacomo maggiore, Filippo, Matteo, Taddeo e Simone Zelota. La figura identificata con Giovanni, è stata da molti interpretata con quella di Maria Maddelana. Potrebbe infatti sembrare una donna, ma ricordiamo che i capelli lunghi venivano portati anche dagli uomini e lo stato di conservazione non è dei migliori, anche se restaurato. I più fantasiosi hanno visto il “Cenacolo” come il matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena, poiché le vesti sono dello stesso colore (si dice che gli sposi le portassero così). Ma ovviamente non c’è nulla di certo e questa sembra essere una teoria più da film che da critica d’arte.

Secondo lo studioso Leo Steinberg, oltre all’annuncio del tradimento, un altro tema inserito è quello dell’eucarestia, dato che Cristo indica con le mani il pane e il vino.

Il punto di fuga della composizione converge nella testa del Cristo. Innovativo appare il raggruppamento dei discepoli uniti dalla condivisione delle loro emozioni, forse pensata anche in relazione alla scansione dello spazio imposta dalle tre lunette che si trovano al di sopra.

È molto interessante una nota scritta dallo storico Gaspare Bugatti che, nel 1570 afferma che Leonardo riceveva un compenso di 50 ducati l’anno da Ludovico il Moro, per la realizzazione del Cenacolo.

Adesso diamo anche uno sguardo alle lunette che sovrastano l’”Ultima cena”. Come abbiamo detto prima, è grazie ad esse che siamo riusciti a stabilire le date di esecuzione dell’opera. Molto probabilmente furono ricoperte da uno strato di pittura prima del 1720. Vennero scoperte durante il restauro compiuto da Gaspare Mazza nel 1775 e vennero riportate alla luce solo nel 1853-54. Anche loro sono state dipinte con la tecnica della tempera mista e prima del restauro del 1999, non si potevano dare valutazioni esaustive dato il loro cattivo stato di conservazione. Sono state così scoperti schizzi a mano libera e diverse linee di incisione.

La lunetta centrale contiene lo stemma araldico di Ludovico il Moro con la moglie Beatrice d’Este circondato da una ghirlanda. Lo sfondo è rosso, ma molto probabilmente era blu all’origine. Su di esso vediamo la biscia viscontea (animale araldico della famiglia Visconti, poi preso dagli Sforza), lo stemma degli Este e l’aquila imperiale.

Anche la lunetta di sinistra presenta una ghirlanda con lo stemma del primo figlio maschio di Ludovico, Massimiliano Sforza. È uno scudo diviso a metà, con a sinistra la biscia viscontea e tre aquile imperiali, simbolo araldico della contea di Pavia. Della lunetta di destra, purtroppo, si vede soltanto la struttura generale. Quasi sicuramente aveva al suo interno lo stemma del secondo figlio maschio di Ludovico, Francesco.

Tutte e tre lunette sono molto importanti dal punto di vista genealogico, dato che ricordano le cornici di foglie che circondavano i ritratti delle genealogie principesche.

Le iscrizioni visibili, rimandano ai titoli a cui aspiravano sia Ludovico che i figli. Forse le lunette furono realizzate dopo che Ludovico il Moro, nel 1494, era stato investito del titolo di duca di Milano, dato che ci sono riferimenti alla sua dignità ducale e a quella della moglie.

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