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La Cappella Sistina: Michelangelo e non solo!


La Cappella Sistina è uno dei monumenti più conosciuti al mondo grazie ai bellissimi affreschi che Michelangelo realizzò sulla volta e poi, molti anni dopo, sulla parete dell’altare. Forse però, non tutti sanno che prima del Buonarroti, la cappella era stata decorata da altri insigni artisti (Botticelli, Ghirlandaio, Perugino, Verrocchio…) che hanno dato avvio all’inizio della sua importanza.

Si hanno notizie della Cappella Sistina già nel 1368 (che in questo momento non aveva ancora questo nome) con le prime decorazioni di Giottino e Giovanni da Milano. Quella che conosciamo oggi, è stata realizzata grazie agli interventi dei papi Martino V e in particolare Sisto IV (da cui prende il nome) nel XV secolo. Perché venne ristrutturata? In primo luogo per l’abbandono in cui la cappella versava a causa delle numerose lotte civili durante la cattività avignonese, in secondo luogo c’era la volontà di dare a Roma un nuovo volto. Sappiamo infatti che in questo momento Roma non godeva di buona fama. Era una città in degrado, piatta, senza novità artistiche, in poche parole abbandonata a se stessa. La contrapposizione con Firenze, da sempre capitale della cultura, era cosa semplice. E non è un caso che i primi artisti che realizzarono gli affreschi della cappella sistina siano proprio fiorentini. Giungevano a Roma soprattutto per studiare e vedere con i propri occhi le antichità romane (Raffaello per esempio si calava nella “Domus Aurea”, non ancora portata alla luce, e scoprì i dipinti parietali che presero il nome di “grottesche” per il fatto che ci si “immergeva” dentro queste ampie grotte sotterranee).

Il disegno architettonico della cappella venne affidato all’architetto Baccio Pontelli che cercò di rinforzare le parti fatiscenti della vecchia struttura.

Ma a cosa serviva la cappella sistina? Quali erano le sue funzioni? Si celebravano le cerimonie ufficiali e alcune incoronazioni papali, inoltre era il luogo dove si svolgeva il conclave (funzione che assolve ancora oggi).

Una volta sistemata l’architettura e le strutture fatiscenti, papa Sisto IV (zio del famoso Giulio II che farà decorare la volta da Michelangelo alcuni anni dopo), si decise a far realizzare il ciclo pittorico sulle pareti della cappella. Si lavorò su tre registri: il più basso era occupato da decorazioni con finti arazzi, il secondo vedeva le raffigurazioni delle storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, poste specularmente, una di fronte all’altra e l’ultimo registro aveva la decorazione dei pontefici martirizzati. I lavori cominciarono nel 1481 e nonostante la partecipazione di personalità artistiche diverse, si nota una grande omogeneità compositiva. Il 15 agosto 1483 papa Sisto IV inaugurò la cappella e la dedicò all’Assunta.

I lavori della Cappella però non terminarono così, infatti un nuovissimo intervento avrebbe coinvolto il grande Michelangelo Buonarroti più o meno vent’anni dopo. L’artista fiorentino era a Roma dall’inizio del Cinquecento per lavorare alla tomba di papa Giulio II. A causa di varie controversie però, questa tomba fu portata a termine tantissimi anni dopo, alla morte del suddetto papa. Sarà proprio Giulio II ad incaricare Michelangelo di affrescare la volta della cappella che fino a quel momento aveva solo la decorazione di un cielo stellato dipinto da Pier Matteo d’Amelia. Correva l’anno 1506 e Michelangelo non era ancora deciso sul da farsi. Prima di tutto infatti non si sentiva “in grado” di adempiere ad un compito così grande perché la pittura e la tecnica dell’affresco non erano state da lui mai praticate. Non furono pochi coloro che parlarono male dell’artista, denigrando il maestro e scommettendo sulla sua sconfitta. In realtà tutti oggi possiamo ammirare il grande capolavoro che ci ha lasciato. Inizialmente lavorò con degli assistenti, ma fu solo per pochi anni, perché poi continuò da solo. L’impegno preso non fu di poco conto, dato che la superficie da affrescare era veramente imponente e la posizione in cui si trovava veramente scomoda. Dai suoi diari giornalieri (conservati proprio nella biblioteca vaticana) si evince come le prolungate posizioni che Michelangelo doveva assumere (stare sempre con la testa rivolta all’insù, sdraiato o in posizioni contorte), a lungo andare inflissero all’artista non pochi problemi fisici. Problemi agli occhi a causa dei colori e delle polveri, problemi al collo e alla schiena. Inoltre è lui stesso a dirci che spesse volte non mangiava e non beveva per poter andare avanti con il lavoro. Anche questo fu fonte di problemi fisici. Nonostante tutti questi “acciacchi” però, Michelangelo ebbe una vita molto lunga e il lavoro della volta della cappella sistina fu un capolavoro straordinario. Le interpretazioni fatte sui significati degli affreschi sono tantissimi. L’interpretazione più significativa è sicuramente quella che vede al di sotto degli affreschi di Michelangelo una relazione con la Cabala e il Midrash ebraici. Ogni disegno, figura e scena sarebbe stata quindi realizzata tenendo conto della tradizione ebraica. La cosa non deve tra l’altro stupire, visto che Michelangelo da giovanissimo aveva frequentato il giardino di San Marco a Firenze. Di cosa si trattava? Era un giardino situato a pochi passi da palazzo Medici, dove i giovani talenti imparavano le arti, a disegnare e a scolpire. Oltre a questo però, si studiavano assiduamente i testi ebraici per eccellenza: la Cabala e il Midrash. È quindi una cosa quasi certa che Michelangelo abbia sentito parlare delle tradizioni ebraiche e, affascinato, le abbia tradotte nella sua pittura.




A completare la decorazione della Cappella Sistina è il magnifico affresco del “Giudizio Universale” sempre realizzato da Michelangelo, anche se molti anni dopo la decorazione della volta. Giulio II era ormai morto. Michelangelo era ritornato a Firenze e qui aveva realizzato le famose tombe per Lorenzo de’ Medici duca d’Urbino e Giuliano de’ Medici duca di Nemours per il papa Clemente VII. Sarà lui a volere la decorazione della parete dell’altare della Cappella Sistina, anche se la morte lo colse prima che si potesse decidere il tutto. Il suo successore, papa Paolo III Farnese continuò le volontà di Clemente VII e chiese a Michelangelo di affrescare la parete dell’altare con la scena del giudizio finale. Ci troviamo nel 1533. Precedentemente la parete esibiva la pala del Perugino con “L’Assunzione della Vergine” e le due lunette al di sopra conservavano degli affreschi che Michelangelo aveva realizzato durante la decorazione della volta. Il tutto venne smantellato per far posto al nuovo. L’iter per la realizzazione dell’affresco fu abbastanza burrascosa. Oltre ai problemi di carattere politico, dovuti all’impegno che ancora legava Michelangelo alla famiglia della Rovere per la tomba di Giulio II, Michelangelo si trovò a dover fronteggiare problemi di carattere tecnico. Infatti il pittore Sebastiano del Piombo, suo amico, aveva fatto preparare, con l’accordo del papa, una preparazione pittorica su muro adatta alla tecnica ad olio. Riteneva che il maestro, ormai avanti con l’età, non fosse più in grado di cimentarsi nella tecnica dell’affresco, soprattutto se di così grandi dimensioni. Inutile dire che la reazione di Michelangelo non fu molto positiva. Infatti fece togliere tutto e procedette con l’affresco, sicuramente tecnica più duratura. La scena del “Giudizio Universale” è una delle più belle di tutta la storia dell’arte e ha introdotto delle novità assolute che, purtroppo, non vennero capite dai contemporanei. Le critiche furono molto aspre, in primis per la nudità dei corpi, considerati indecorosi per essere mostrati in una cappella dove venivano svolte cerimonie ufficiali. Infatti nel 1564, a seguito delle imposizioni dettate dal Concilio di Trento, Daniele da Volterra, fu incaricato di coprire le nudità dei santi con delle braghe, da cui il soprannome di “Braghettone”. Il pittore era un grande estimatore di Michelangelo e non avrebbe mai toccato un suo capolavoro. Purtroppo fu messo alle strette. Se si fosse opposto, il dipinto sarebbe stato smantellato. Oggi, a seguito dell’ultimo restauro eseguito tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta del Novecento, le braghe sono state tolte, alcune però sono state lasciate per ricordare l’evento.

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