Gli affreschi della Cappella Paolina, realizzati da Michelangelo Buonarroti all’interno del Palazzo Apostolico Vaticano, sono uno dei tanti magnifici capolavori che l’arte ci ha lasciato. La Cappella, non visibile al pubblico (con nostro grande rammarico), è stata costruita architettonicamente da Antonio da Sangallo il Giovane tra il 1538 e il 1546. Era usata per raccogliere i voti durante il conclave, essendo infatti molto vicina alla Cappella Sistina (erano separate solo dalla Sala Regia). Inoltre era cappella sacramentale, dove veniva conservata l’ostia consacrata. Era chiamata anche cappella “parva”, per distinguerla dalla cappella “magna”, ossia la Sistina. Presenta una solo navata, coperta da volta a padiglione lunettata e illuminata da una trifora semicircolare sulla destra e da due aperture tonde sulla volta.
La commissione degli affreschi delle pareti laterali era stata data a Michelangelo da papa Paolo III nell’ottobre del 1541. Erano passati solo diciannove giorni dallo svelamento del “Giudizio Universale”, ma questo non impedì al pontefice di affidare nuovi incarichi al maestro. I primi pagamenti per l’arricciatura e il montaggio dei ponteggi arrivarono molto presto, era infatti metà novembre dello stesso anno. Michelangelo era ormai anziano, aveva sessantasei anni e gravemente provato dai lavori precedenti. Sappiamo come la decorazione della Cappella Sistina lo avesse fiaccato fisicamente e come i lavori per la tomba di Giulio II continuassero molto a rilento a causa dei numerosi impegni che si sovrapponevano e a cui non poteva negarsi. I Della Rovere erano però inamovibili e volevano la tomba del papa finita. Anche questa vicenda lo provò non solo fisicamente ma anche e soprattutto mentalmente.
Venne eseguito prima l’affresco della “Conversione di Saulo” e poi quello della “Crocifissione di Pietro”. Paolo III visitò la cappella per la prima volta nel 1545 e per quella data la “Conversione di Saulo” era stata completata. L’anno dopo iniziò l’affresco della “Crocifissione di Pietro”. Un fatto curioso si trova in Vasari, nella prima edizione delle sue “Vite”. Parla di una “Consegna delle chiavi” e non di una “Crocifissione di Pietro”. Solo nella seconda edizione cambiò parlando dei soggetti che effettivamente ci sono nella cappella. È da escludere una svista di Vasari. È invece molto più probabile che inizialmente il soggetto dovesse essere una “Consegna delle chiavi”. In effetti l’accostamento dei due soggetti era molto più usato di quello che poi è stato scelto alla fine. Forse l’originaria unione dei due soggetti iconografici rispondeva di più alle funzioni cerimoniali della Paolina. Effettivamente, per la sacralità del luogo, sarebbero stati più consone scene della “Passione di Cristo”. Questo cambiamento non è quindi cosa da poco. Svela una rottura forte con l’iconografia tradizionale. Sicuramente anche Paolo III ci mise del suo. Forse voleva ammirare degli affreschi che richiamassero il proprio nome. Una parte della critica pensa addirittura che il cambio di soggetto sia stato voluto da Michelangelo stesso per motivi personali non ancora identificati. È vero che il Buonarroti godeva di grandissima stima e ammirazione anche tra i Papi. Era l’unico infatti che riusciva a tenergli testa senza lasciarsi intimorire. Appare però esagerata questa ipotesi. Sicuramente sono stati inseriti degli autoritratti. Quello più somigliante è rintracciabile nella testa di Pietro, mentre sta per essere crocifisso a testa in giù.
Sono state ritoccate delle parti in entrambi gli affreschi, poi riportate all’origine con il restauro del 1933-34.
Oltre agli affreschi di Michelangelo, la Cappella Paolina è stata affrescata da altri famosi pittori. La volta è opera di Perin del Vaga. In controfacciata è stato realizzato un trompe-l’oeil con una finta architettura, opera di Annibale Angelini. Anche Federico Zuccari realizzò otto affreschi incorniciati da stucchi, quattro tondi e quattro vele con le “Scene della vita degli Apostoli Pietro e Paolo”.
Il 10 novembre 1549 muore papa Paolo III. Da questo momento in poi cambia ogni cosa. Siamo alla fine del Rinascimento. Il Concilio di Trento con la Controriforma dettano nuove regole e l’arte non sarà più quella di prima.