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''Marta e Maria Maddalena'' di Caravaggio


Il bellissimo quadro di “Marta e Maria Maddalena” di Caravaggio ha una storia abbastanza nebulosa. Non conosciamo bene la sua genesi e nemmeno da chi venne commissionato con certezza. Ma partiamo per gradi.

La tela proviene dalla collezione di Olimpia Aldobrandini. Ne abbiamo prova grazie all’inventario dei suoi beni, redatto il 25 maggio 1606. Si parla infatti di «un quadro di Santa Maria e Maddalena quando la convertisce con cornici messe ad oro». Ne troviamo poi nuovamente traccia negli inventari del 1615, 1626 e 1634 e sempre senza il nome di Caravaggio. Alla morte dell’Aldombrandini nel 1637, la tela passa al cardinale Ippolito Aldombrandini, il figlio di Olimpia, suo legittimo erede. Sarà nell’inventario stilato da Ippolito nel 1638, che il quadro verrà associato al nome di Caravaggio. Così recita l’inventario: «Un quadro Bislongo con una Maddalena et Marta, con Fiore in mano con cornice negra rabescata d’oro del Caravaggio». Almeno fino al 1769 l’opera è attestata nella villa Aldrobrandini a Magnanapoli. Poi, in un periodo imprecisato, la tela passa alla famiglia Panzani, di Arezzo. Lo attestano le note sul retro del dipinto. Arrivò a Parigi all’inizio del Novecento, acquistata dal diplomatico argentino Indalecio Gómez, che la portò con sé a Buenos Aires. Il nipote di Gómez, scoprì casualmente che l’opera poteva essere del Merisi e cercò di venderla all’asta da Christie’s a Londra, nel 1971, ma non venne comprata da nessuno. Nel 1973 la acquistò il Detroit Institute of Art, dove si trova tuttora.



Il fatto che l’opera possa essere di Caravaggio è un’ipotesi avvalorata ulteriormente dalla presenza di numerose copie e reinterpretazioni circolanti nello stesso periodo.

Sembra ormai certo che l’opera sia stata commissionata da Olimpia Aldobrandini, ma il fatto che compaia per la prima volta nei suoi inventari, non dà la certezza che sia lei la committente. In ogni caso, la tela è davvero bellissima. Le due sante sono raffigurate e mezzo busto e si trovano oltre un tavolo. Sembrano conversare, almeno la donna che si trova a sinistra (Marta). La Maddalena tiene in mano un fiore d’arancio e poggia l’altra su uno specchio convesso, tra l’altro molto simile allo specchio che Tiziano dipinse nella sua “Donna allo specchio” (1515). Anche Caravaggio possedeva degli specchi. Ce lo attesta l’inventario dei suoi beni: uno “specchio grande” e uno “scudo a specchio”, di cui si era servito per i suoi esperimenti sulla luce. È certo quindi che li abbia presi come modelli per i suoi quadri. Sul tavolo sono presenti un pettine e un portacipria, simboli di vanità, legati alla Maddalena.


È molto probabile che il Merisi si sia servito di una raffigurazione di Marta e Maria Maddalena di Bernardo Luini, che si trovava menzionata anche nell’inventario del lascito del cardinale Del Monte del 1627.

Si è sempre pensato che Marta stesse persuadendo la sorella ad abbandonare i suoi peccati e a percorrere la retta via. Molto probabilmente però sta descrivendo i miracoli di Gesù. Caravaggio avrebbe quindi immortalato il momento della conversione. Non a caso la Maddalena è invasa da un fascio di luce divina. Quindi gli oggetti presenti sul tavolo, simboli della sua vita peccaminosa, rappresentano il passato che la donna vuole lasciarsi alle spalle e il fiore d’arancio che tiene in mano vicino al petto, indica la svolta verso una nuova vita. Lo specchio quindi potrebbe diventare simbolo dell’autoriflessione interiore. La donna che Caravaggio scelse come modella per la Maddalena è Fillide Melandroni, la cortigiana che posò anche per la “Giuditta e Oloferne” e per la “Santa Caterina d’Alessandria”.


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