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Tosio Martinengo: il ''Cristo benedicente'' e la ''Madonna dei garofani'


Il “Cristo benedicente” di Raffaello è un’opera datata agli inizi del Cinquecento, particolarmente al 1506 ed è conservata oggi alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Tosio Martinengo era un conte. È stato lui ad acquistare a Milano la tavola, insieme alla “Madonna dei Garofani”, sempre del Sanzio. Precedentemente entrambe le opere facevano parte della collezione d’arte di una famiglia di Pesaro, i Mosca. Tosio portò avanti le trattative per l’acquisto con il conoscitore e collezionista Teodoro Lecchi. Era il 1819. Nel 1821 concluse la compravendita e porterà entrambe le tavole a Brescia, dove oggi possiamo ammirarle in tutta la loro bellezza.

Sul “Cristo benedicente” abbiamo purtroppo poche informazioni. Non sappiamo per esempio chi fu il committente e come mai il quadro si trovasse a Pesaro. I Mosca lo acquistarono oppure sono stati loro a richiederlo al pittore? Domande a cui fino ad adesso non si sono trovate risposte.

Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, con la testa leggermente reclinata e la mano destra alzata verso il cielo, in segno di benedizione. L’altra è poggiata sul costato ad indicare la piaga della crocifissione. Lo sfondo è quasi del tutto assente (alcuni ritengono sia un paesaggio umbro, ma è davvero difficile poterlo dire con certezza, vista l’esiguità nel disegno). L’unica vegetazione visibile è quella ai lati della tavola. Piccoli alberi e lo sfondo del cielo, dove il sole sembra stia tramontando.

Sono evidenti chiari richiami a Leonardo. In primis la mano benedicente ricorda il “San Giovanni Battista”, conservato al Louvre e bellissimo è lo sfumato che sembra aleggiare sullo sfondo e nei contorni della figura del Redentore. Leonardo era infatti contrario allo stacco netto tra sfondo e figure tipico della pittura del Quattrocento. Le ombre e le luci erano troppo rigide. Nel suo “Trattato sulla pittura” parla esplicitamente di apportare ai dipinti la sua amata tecnica dello sfumato, dove il colore veniva steso per velature, quasi a creare una sorta di nebbiolina o di rugiada che dava un senso “soffuso” all’insieme. Tecnica straordinaria, che solo Leonardo riuscì a realizzare alla perfezione, anche se non sempre con esiti felici (ricordiamo il “Cenacolo” e la “Battaglia di Anghiari”). Raffaello ha sicuramente ripreso la tecnica leonardesca, unendola alla propria visione artistica.



La tavola è di piccole dimensioni ed è stata inserita nel periodo precedente al trasferimento fisso del Sanzio a Roma, quando aveva stretti rapporti con la corte di Urbino. In questo periodo dipingeva infatti opere di piccolo formato.

C’è chi ha avanzato l’idea che, nel volto del Cristo, si nasconda un autoritratto del pittore. Per quale motivo? Perché il quadro era accompagnato da un documento che affermava che Raffaello si sia voluto ritrarre “Ecce homo”. Vero o no, confrontando alcuni suoi ritratti, possiamo vedere l’evoluzione fisiognomica e stilistica che ha avuto l’artista e come questo volto si avvicini molto al suo.


La “Madonna dei garofani” invece ha una datazione più tarda. Ci troviamo in un periodo che oscilla tra il 1520 e il 1530. Tosio Martengo ha avuto dei dubbi sull’autografia dell’opera a Raffaello. Secondo quanto disse Johann David Passavant, all’interno del suo catalogo, questa tavola non sarebbe altro che una copia dell’originale raffaellesco. Infatti esistono innumerevoli versioni di quest’opera. Ne sono state però individuate tre molto simili tra loro stilisticamente. Oltre a questa di Martinengo, abbiamo la versione di Palazzo Barberini di Roma e quella della National Gallery di Londra. Per alcuni critici, proprio quest’ultima versione sarebbe l’originale. A una prima analisi le tre tavole sembrano davvero uguali, anche sovrapponendole, i profili sono davvero quasi identici. Sulla tavola di Brescia sono stati inoltre individuati dei tratti incisi. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di tre artisti e che si siano serviti dello stesso cartone preparatorio. Si potrebbe così pensare che gli autori di queste tavole, altro non siano che allievi nella bottega di Raffaello che utilizzavano cartoni del maestro per esercitazioni.


Guardando il quadro è impossibile che non venga alla mente la “Madonna Benois” di Leonardo da Vinci (oggi all’Ermitage di San Pietroburgo e datata circa trent’anni prima). Lo stile della tavola è infatti davvero simile. Stessa posa della Madonna e del Bambino che sembra giocare con il fiore che le porge la madre. Da una finestra ad arco vediamo poi un paesaggio con un castello. Nella tavola di Leonardo non si vede nulla oltre la finestra, ma non possiamo di certo paragonare il paesaggio dell’opera di Raffaello con i tanti paesaggi sfumati a cui ci ha abituati il maestro vinciano, dove lo sfumato è qualcosa di straordinario. Ad ogni modo è stato sicuramente un riferimento preso in esame. Interessante è il gesto amorevole che si scambiano la madre e il figlio, in Leonardo molto più accentuato e vero, come se Madonna e il Bambino siano persone in carne ed ossa, davanti a noi. Sembra davvero che la giovane Maria stia ridendo vedendo il figlio giocare il fiore. Il garofano, che dal greco “dianthus” vuol dire “fiore di Dio”, è un simbolo del matrimonio. A cosa vuole alludere in questo soggetto iconografico? Molto probabilmente vuole celebrare Maria non solo come madre, ma anche come sposa ideale di Gesù.


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