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La Madonna Esterházy di Raffaello


La Madonna Esterházy di Raffaello è una piccola tavola di pioppo realizzata dal pittore urbinate intorno al 1508. Prende il suo nome dalla famiglia che l’acquistò in un periodo purtroppo non precisato, tra la metà del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo. Grazie a un biglietto trovato sul retro della tavola, è stato scoperto che il quadretto venne donato da papa Clemente XI all’imperatrice Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbuttel. L’opera è conservata al Szépművészeti Múzeum di Budapest, ossia il museo nazionale di Belle Arti ungherese. Fino all’8 aprile è in mostra a Palazzo Barberini di Roma.

Cosa rappresenta? La Vergine è seduta su una distesa erbosa con in braccio il Bambino. Alla sua destra è presente anche il San Giovannino. La composizione riecheggia tantissimo le tavole realizzate da Leonardo, come la pala conservata al Louvre della “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnello”. Simile è il movimento quasi “rotatorio” suggerito dalle figure e molto vicina è la forma piramidale assunta dai tre personaggi. Sullo sfondo vediamo delle rovine antiche, che ricordano il Tempio di Vespasiano e il Foro Romano. Un disegno preparatorio conservato a Firenze, nel Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, mostra però un paesaggio diverso, fatto di sola vegetazione. Questo fa capire che l’opera è stata sicuramente iniziata a Urbino e poi continuata a Roma, quando Raffaello venne chiamato da papa Giulio II. Qui rimase folgorato dalla bellezza delle rovine antiche e decise di immortalarle in una sua opera (ricordiamo che Raffallo si calerà all’interno della “Domus Aurea” neroniana recentemente scoperta e vedrà le pitture che prenderanno il nome di “grottesche”). È straordinario vedere questo cambiamento perché permette di capire la maturità acquisita dal pittore e la sua voglia di sperimentare sempre di più.



Nel 1983 purtroppo l’opera venne rubata insieme ad altre opere di Giorgione, Tintoretto e Tiepolo. Saranno poi fortunatamente ritrovate dai Carabinieri in un convento greco a Eghjon.

L’opera rientra in un periodo davvero molto importante per il pittore. La dipinge a venticinque anni, in un momento di transizione. Infatti dopo aver trascorso quattro anni a Firenze, si sposta a Roma, la città dei Papi, ricca di nuovi stimoli artistici, un vero e proprio cantiere a cielo aperto.

A livello conservativo e di restauro, la tavoletta di legno presenta una curvatura abbastanza accentuata. Questo è stato causato dal supporto ligneo. Quest’ultimo infatti è molto delicato e sbalzi di temperatura anche minimi ne possono alterare la superficie, restringendola o allargandola. Quando Raffaello dipinse la tavola ovviamente non si trovava in queste condizioni e la superficie era liscia. Oggi l’opera è monitorata incessantemente, cosa che prima non veniva fatta. Ecco perché si trova in queste condizioni. Quando le superfici sono così “imbarcate”, ossia incurvate, un tempo si procedeva ad assottigliare il legno, cosa assolutamente sbagliata perché diventando sempre più liscia, è anche estremamente fragile. Oggi ha uno spessore di soli 5 mm.


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