Tra le opere giovanili di Caravaggio abbiamo due bellissime versioni del “Suonatore di liuto”, realizzate durante il soggiorno del pittore presso il cardinale Francesco Maria Del Monte. Una versione si trova al Metropolitan Museum di New York e l’altra all’Ermitage di San Pietroburgo. Non conosciamo bene l’ordine cronologico delle due tele, ma si presume sia stata realizzata prima la versione di San Pietroburgo che il Del Monte donò al marchese Vincenzo Giustiniani. Solo dopo decise di farsi realizzare un’altra versione dello stesso soggetto che ora si trova a New York. Altri studiosi ritengono invece il contrario, ossia che sia stato Giustiniani a commissionare la versione di San Pietroburgo e a chiederne poi una seconda per il suo amico Del Monte. Tra l’altro Giustiniani possedeva ben tredici dipinti di Caravaggio e il “Suonatore di liuto” doveva essere uno dei primi di cui entrò in possesso.
A livello iconografico le due tele presentano delle evidenti differenze. Entrambe vedono la presenza di un giovane ragazzo che suona un liuto. Nella versione di San Pietroburgo sono stati inseriti strumenti musicali e spartiti, oltre che un bellissimo vaso di fiori sulla estrema sinistra, che alcuni studiosi ipotizzano sia opera di Jan Bruegel, favorito del cardinale Borromeo (che era a sua volta amico di Del Monte), che si trovava a Roma tra il 1597 e il 1601. La precisione e la minuzia dei fiori è in effetti molto vicina alla pittura fiamminga. Non dobbiamo però dimenticare che Caravaggio dipinse molti fiori e frutta in età giovanile (dal Cavalier d’Arpino infatti realizzò soltanto questo genere ed era praticamente escluso dalla realizzazione di soggetti più “elevati” quali figure sacre). La caraffa di fiori non trova dei precedenti nei modelli lombardo-veneti da cui proveniva Caravaggio. Secondo il critico Denis Mahon sarebbe stato proprio il cardinale Giustiniani a chiedere a Caravaggio di realizzare il vaso di fiori. In questo ambito si aprirebbe anche l’ipotesi di una relazione tra Caravaggio e Arcimboldo (entrambi residenti a Milano in questa iniziale fase caravaggesca). Il Merisi potrebbe aver frequentato la sua bottega, che si trovava a pochi passi da quella del maestro Peterzano e aver visto le sue composizioni floreali. Non possiamo però approfondire l’argomento in questa sede, che vedrebbe un ragionamento molto più lungo e articolato. Sul tavolo è presente uno spartito, identificato con i quattro madrigali d’amore estrapolati dalla prima edizione del libro “Voi sapete ch’io v’amo, anzi vi adoro…” edito a Venezia nel 1539. Sicuramente Caravaggio aveva avuto modo di vedere e sentire questa musica, grazie alla passione del cardinale che si circondava di suonatori e cantori dei più bravi in circolazione. In realtà però si pensa che i motivi musicali usati dal Merisi nei suoi quadri siano stati ripresi dal bagaglio culturale che portava con sé da Milano, durante il suo apprendistato presso il pittore veneto Simone Peterzano. Quest’ultimo aveva avuto un’ampia esperienza veneziana, riproducendo molti soggetti musicali eseguiti da Panasio Micheli. Questo permise al nostro artista di sviluppare un nuovo bagaglio artistico che relazionava la musica all’amore. Sul tavolo, proprio vicino il vaso, sono sparsi dei frutti, molto simili a quelli già visti nel “Ragazzo con la canestra di frutta” e nel “Bacchino malato” della Galleria Borghese. Sono stati letti come simbolo dell’amore fugace e sensuale. Altri li legano alla Patristica dove i fiori e i frutti sono paragonati a Dio, alla sua Fede e alla Redenzione. Il ragazzo che suona il liuto ha delle fattezze evidentemente androgine ed è stato letto da molti in relazione alla ipotetica omosessualità del pittore. Ma potrebbe anche essere visto come personificazione dello sposo del “Cantico dei Cantici” di San Francesco. Il giovane ha gli occhi leggermente languidi e bagnati dalle lacrime (realizzate con piccoli tocchi di biacca dati sulle pupille) e un violino sul tavolo ha una corda spezzata e la cassa sembra leggermente incrinata. Questo è legato ad un senso di instabilità: un riferimento ad un amore terreno? La donna amata che non ricambia i sentimenti? Oppure un amore spirituale, legato a Dio?
Un precedente a questo soggetto caravaggesco è stato identificato con un dipinto di Bachiacca “Ritratto di giovane uomo con liuto” del 1522-25. Un giovane sta suonando un liuto seduto su un parapetto, dietro è dipinto un paesaggio. Sempre sullo sfondo ci sono alcune scene dei “Trionfi d’Amore” di Petrarca. Alla sua destra vediamo un piccolo vaso con dei fiori e a sinistra una piccola clessidra, simbolo del tempo fugace che scorre inesorabilmente e della bellezza che sfiorisce. Soggetti del genere erano quindi già stati realizzati, anche se Caravaggio ha inserito, come al solito, delle caratteristiche in più. Sappiamo che il Merisi dipinse un’altra tela, ossia il “Ragazzo con un vaso di rose”, purtroppo oggi perduto, ma noto in due copie (una a Lugano e l’altra all’Hig Museum nof Art di Atlanta) che vede sempre la presenza di un vaso con dei fiori. Sembra a questo punto che Caravaggio abbia appreso questi soggetti in area lombarda, molto probabilmente dal suo maestro Peterzano, che aveva avuto maestranze venete (tra l’altro non si sa con certezza se sia nato a Bergamo, ascrivibile solo per la provenienza del cognome, oppure sia nato a Venezia).
La versione del Metropolitan di New York è per certi versi simile, ma presenta delle evidenti differenze. Abbiamo sempre il giovane ragazzo che suona il liuto, ma questa volta non è presente la caraffa con i fiori e la frutta. Sul tavolo sono sparsi molti strumenti musicali. Da una radiografia effettuata al dipinto, è emerso però che prima, al posto della spinetta che si trova a sinistra, c’erano alcuni frutti. Potrebbe trattarsi sia di un cambiamento voluto dal committente (Giustiniani o Del Monte a seconda delle interpretazioni) oppure potrebbe trattarsi di una tela di “riuso”. In questa prima fase romana, non era infatti così insolito usare tele già dipinte o abbozzate. Caravaggio non aveva tanti soldi e comprare sempre nuove tele aveva un suo costo, che il pittore non poteva ancora permettersi. È quindi plausibile abbia riusato una tela già dipinta e poi coperta in modo da ridipingerci sopra. Alcuni studiosi ritengono anche che Caravaggio abbia potuto ricalcare il dipinto ora all’Ermitage, in quanto lo spartito e il violino si trovano nella stessa esatta posizione. In questa versione americana, lo spartito musicale riproduce i madrigali “Lasser il velo” di Francesco di Layolle con liriche del Petrarca e “Perché non date voi, donna crudele” di Jacques de Berchem. La vasta presenza degli strumenti musicali si lega in modo indissolubile alla passione del cardinale per la musica. È per questo che è molto difficile dire chi abbia commissionato questa seconda versione al pittore. Il Del Monte che ne voleva una che rispecchiasse le sue passioni, oppure il Giustiniani per fare un dono all’amico e che conosceva molto bene i suoi hobby? In ogni caso il risultato non cambia, perché la tela è di una bellezza senza paragoni.
Per quanto riguarda le date di realizzazione dei due dipinti, possiamo solo dire che siano stati realizzati tra il 1596 e il 1598. Ad ogni modo prima dell'inizio delle tavole per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. Infatti a seguito delle nuove scoperte emerse recentemente, ossia dell'arrivo posticipato a Roma del Merisi intorno a 1596, tutte le opere giovanili del Merisi sono state spostate in avanti rispetto alle date da sempre consolidate. Alla mostra "Dentro Caravaggio" conclusasi a febbraio a Milano, purtroppo non è stata presente nessuna delle due versioni e non è stato così possibile approfondire i loro specifici casi. Anche queste due tele sono comunque da posticipare in avanti (sempre se si è concordi con la nuova scoperta, non tutti lo sono). Speriamo che in futuro si prenderanno in esame in maniera dettagliata.
Ma come arrivarono i due quadri nei musei dove sono conservati oggi? La versione dell’Ermitage viene menzionata in un inventario di Vincenzo Giustiniani del 1793. L’opera sarebbe stata poi portata a Parigi nel 1804 per essere venduta insieme ad altri dipinti. Infatti nel 1808 sarà comprata dallo zar Alessandro I.
La versione del Metropolitan di New York si ritrova in un inventario del 1627 del lascito Del Monte insieme al “Concerto di giovani”. L’anno dopo il “Suonatore di liuto”, “I bari” e la “Santa Caterina d’Alessandria” furono venduti dagli eredi del cardinale ad Antonio Barberini il Giovane. Sarà proprio quest’ultimo a chiedere a Carlo Magnone, un allievo di Andrea Sacchi, di dipingere due copie de “I Bari” e del “Suonatore di liuto”. Nel 1939 il quadro del “Suonatore di liuto” viene comprato dalla Wildenstein & Co. di Parigi-Londra. Oggi è in deposito al Metropolitan Museum di New York, per prestito della società e si trova quindi in prestito permanente.