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Jean-François Niceron e l'arte dell'anamorfosi


Con il termine “anamorfismo” si indica un’illusione ottica di un’immagine che viene proiettata su un piano in modo distorto. Il soggetto diventa reale e riconoscibile solo quando lo si guarda da una precisa prospettiva o punto di vista. Questa tecnica permette di decentrare il punto di proiezione (o punto di vista) e oltretutto di deformare o allungare anche la superficie del piano. Già abbiamo avuto modo di parlare di questo argomento con “Gli ambasciatori” di Hans Holbein il Giovane. È infatti visibile un chiaro esempio di anamorfosi sul pavimento della tela. Si tratta di un teschio, anche piuttosto grande, che diventa riconoscibile solo guardandolo da una certa angolazione. A Palazzo Barberini di Roma è stata allestita una piccola mostra proprio sull’anamorfosi. Sarà aperta fino al 10 giugno. Non è stato portato il dipinto di Holbein (conservato alla National Gallery di Londra) ma una serie di opere davvero interessanti di un altro artista: Jean-François Niceron (1613-1646). È stato uno dei più bravi matematici francesi del tempo e autore di due trattati sulla prospettiva intitolati rispettivamente: “La Perspective curieuse” (1638) e il ”Thaumaturgus opticus”, che sarà edito dopo la sua morte, nel 1646. Proprio quest’ultimo trattato era stato tradotto in latino, a causa della difficoltà di comprensione della lingua francese da parte di molti scienziati. Uscì postumo per i molti impegni che Niceron doveva assurgere nell’accademia. Il suo grande interesse per la matematica e le materie scientifiche nasce proprio dalla frequentazione delle scuole dei Minimi (ne diventerà anche professore più avanti). Da chi furono fondate? Da un ordine mendicante istituito nel Quattrocento da San Francesco di Paola. Niceron studiò nella scuola di Nigeon Chaillot e in quella prestigiosa di Place Royale. Quest’ultima si basava tantissimo sullo studio della filosofia e delle materie scientifiche. È proprio qui che coltivò le sue passioni e dove trovò spunto per iniziare i trattati sulla prospettiva. Niceron era amico di Louis Hesselin, consigliere di Luigi XIII che, nel suo studio, teneva svariati oggetti scientifici, tra cui un prospettografo che Niceron userà quando soggiornerà a Roma (ben due volte) per dipingere le sue prospettive accelerate.

Le prime notizie di ritratti deformati risalgono agli anni Trenta del Seicento. Un esempio è quello del matematico Jacques d’Auzolles de Lapeyre. Nel 1630 esce un importantissimo trattato (che sarà usato da Niceron per i ritratti esposti a Palazzo Barberini) intitolato “Perspective cylindrique et conique” di Jean-Lousi Vaulezard. Parla di immagini dipinte su una superficie orizzontale che diventano visibili solo se le si proiettano su un cilindro specchiato (si parla in questo caso di anamorfosi “catottrica”). Forse già Simon Vouet (tra l’altro un caravaggista) usava oggetti simili qualche anno prima, ma fu Vaulezard a darne una spiegazione scientifica.




Proprio a Roma, Niceron realizzò una serie di pitture anamorfiche dentro il convento della chiesa di Trinità dei Monti, appartenente alla comunità del Sacro Cuore e della Fraternità monastica di Gerusalemme. È stato fondato per l’ordine mendicante dei Minimi (dove abbiamo visto studiò Niceron) dal re di Francia Carlo VIII tra il 1530 e il 1570. Oltre agli affreschi con le storie di San Francesco di Paola (fondatore dell’ordine dei Minimi), ci sono i ritratti dei re di Francia e il refettorio decorato con pitture anamorfiche. Niceron lavorò proprio in quest’ultimo ambiente e dipinse la parete orientale e un altro pittore, Emmanuel Maignan la parete occidentale. Purtroppo l’affresco di Niceron ha subito parecchi danni, a causa degli strati troppo abbondanti di calce che erano stati sovrapposti per precisi motivi igienici durante il periodo dell’occupazione francese. Non si vedeva quasi più niente e solo un restauro del 2009 ha riportato alla luce l’opera, anche se lacunosa. Cosa rappresenta? Un San Giovanni chinato mentre scrive il libro dell’Apocalisse. La cosa straordinaria è che possiamo vedere la figura del santo solo osservando le pareti lateralmente. Guardando la parete frontalmente vediamo invece un paesaggio riconducibile all’isola di Patmos, dove Giovanni si era recato dopo essere stato esiliato. All’interno del trattato “Thaumaturgus opticus”, nella tavola 33, Niceron spiega il modo in cui realizzò il dipinto del convento di Trinità dei Monti ed è per questo un’importante testimonianza. Sembra che l’artista avesse costruito una macchina particolare da cui partivano dei fili che dovevano sostituire i raggi visivi e permettere di dipingere in modo allungato e distorto. In generale però sembra che i pittori usassero la luce per realizzare questo tipo di pitture. Inizialmente realizzavano il soggetto secondo le proporzioni reali, che poi doveva essere nascosto. Trasferivano il disegno su un cartone che veniva poi bucato alle estremità (come si faceva nel Cinquecento). Si schermava la luce lateralmente, in modo che essa entrasse attraverso ogni foro del cartone. Quando il foglio veniva posizionato di sbieco, il disegno si allungava e dopo aver avvicinato il cartone al muro, si ricalcava la proiezione.

Nella mostra a Palazzo Barberini sono esposti esempi di anamorfosi catottrica, dove il dipinto, realizzato su una superficie orizzontale e deformato, appare visibile su un cilindro specchiato posto al centro. L’effetto è straordinario, soprattutto se pensiamo che si tratta di opere realizzate nel Seicento e senza nessun tipo di strumento informatico o digitalizzato. Era grazie allo studio della matematica e della prospettiva portava che nascevano questi capolavori. Nella “Coppia di amanti” (1635) un uomo fa delle “advances” ad una donna che sembra acconsentire visto che l’uomo ha infilato una mano sotto il suo vestito. Accanto a loro c’è una signora che sta spiando la scena. Alcuni critici, tra cui Jurgis Baltrušaitis, ritengono che l’opera non possa essere attribuita a Niceron (che lavorava nella scuola dei Minimi, un ordine mendicante) in quanto non si sarebbe mai abbassato a dipingere soggetti profani. Ma la cosa non è da ritenere certa. Una tecnica come quella dell’anamorfosi, spingeva a sperimentare ed è possibile che anche Niceron abbia voluto provare una grande varietà di soggetti. Realizzò anche il ritratto del fondatore dell’Ordine dei Minimi, San Francesco di Paola (1635), che forse deriva da un’opera di Simon Vouet che ebbe stretti rapporti con l’ordine e aveva stretto amicizia anche con Niceron. Nel suo “Perspective curieuse” descrive il procedimento usato per creare il ritratto, lasciando anche uno schema che rendeva più semplice la comprensione ed evitava difficili calcoli matematici.


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