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Emozione Arte

La solitudine nell'arte: Munch, Gorky e Hopper


La solitudine… un sentimento di infinita tristezza che colpisce sia grandi che piccoli. Essere soli, o sentirsi soli può diventare una vera e propria malattia. Stare fuori dal mondo, senza nessuno su cui poter contare, porta con sé tanta paura e angoscia. In che modo questo tema è stato trattato nell’arte? Quali artisti lo hanno inserito nelle loro opere? Quasi scontato, ma indispensabile, è la figura del pittore norvegese Edward Munch. È il secondo di cinque fratelli, nato a Loten (si trasferirà ad Oslo nel 1864). Il 1868 è l’anno peggiore per la sua famiglia, perché colpita da una serie di gravi lutti. Morirà la madre e poi l’amata sorella Sophie. Furono proprio questi disastrosi eventi a spingere Munch a dedicarsi alla pittura. Aveva diciassette anni. Il suo modo di dipingere, fatto da pennellate dense, da colori forti e da una gestualità inconfondibile, sprigiona un vero e proprio stato di solitudine e angoscia. Il famosissimo “Urlo” (1893), è considerato l’apice di questo stato d’animo. La figura che grida, con il volto sfigurato, non è altro che il pittore. Si trovava lungo un sentiero in salita sulla collina di Ekberg, sopra Oslo. È solo, nonostante dietro di lui si vedano due figurine (irriconoscibili, perché rappresentano l’umanità sorda al suo richiamo di aiuto) camminare lungo un ponte, incuranti di quello che stava accadendo. Munch si sentiva solo ed era fiaccato dalla tristezza. Nessuno però sembrava accorgersene. Ma questo è solo uno dei tanti esempi che si possono fare passando in rassegna i suoi quadri. Riuscì a rendere negativo anche un momento d'amore come il bacio.


Realizzò molte versioni di questo soggetto, sia dipinti che incisioni e quasi in tutte è evidente un senso di angoscia che, in realtà, dovrebbe essere totalmente estraneo in una coppia di innamorati. Le atmosfere sono cupe e tetre. In una versione dipinta vediamo addirittura la donna "mordere" l'uomo, come fosse un vampiro. I suoi lunghi capelli avvolgono il compagno che sembra essere avvinto senza possibilità di scampo. Dovrebbe essere un dolce bacio sul collo, ma si trasforma in una scena "cruenta", dove l'amore non esiste. La sua situazione sentimentale non lo aiutò certamente. Non si sposò mai ed ebbe solo relazioni sfortunate. Per esempio la storia con Ulla Larsen, figlia di un mercante di vini, non si concluse nel migliore dei modi. Le lo amava e voleva sposarlo. Munch però non era d'accordo e scappò a Berlino. Ulla non si arrese e lo raggiunse, facendosi trovare nuda nel letto, bella come una Venere greca. Il pittore la allontanò e per difendersi tirò fuori una pistola, ferendosi ad una mano. Questo vicenda spiega bene il sentimento di solitudine e angoscia che provava il pittore. Per lui amore faceva rima con dolore e lo sarebbe stato per tutta la vita.

Questo forte senso di malinconia, lo ritroviamo in anni molto più vicini ai nostri. Ci troviamo in America, nell’ambito dell’espressionismo astratto e della “Scuola di New York” di cui facevano parte anche Rothko, De Kooning, Newman e Still, solo per citarne alcuni. Sto parlando di Arshile Gorky (il cui vero nome era Vostanik Manoug Adoian). Nato nel villaggio di Khorkom, sul lago Van (nella Turchia ottomana), nel 1904, da una famiglia armena molto povera, fa parte di quella schiera di pittori che giunse in America per trovare una nuova vita, sia personale che artistica. Molti degli artisti della "Scuola di New York" (anche detta degli "Irascibili") era giunta nel Nuovo Continente per scappare dalle persecuzioni naziste (non era però il caso di Gorky che arrivò molto prima, durante le vicende della prima guerra mondiale). Giunse negli Stati Uniti che aveva solo sedici anni e prese il nome Gorky, in omaggio allo scrittore russo Maksim Gor'kij. Il nome Arshile invece si pensa possa derivare da Achille, oppure alcuni pensano derivi da "Aysaharel" che vuol dire "posseduto dagli spiriti malvagi" o "sospinto da un vento cattivo". Gorky in russo vuol dire “amaro” e non ci fu nome più azzeccato. Il pittore armeno, naturalizzato americano, visse una vita dolorosa, segnata da eventi spiacevoli che lo portarono purtroppo al suicidio, alla giovane età di quarantaquattro anni. Sicuramente una grande importanza ebbero due gravi episodi. Il primo accaduto nel 1896, fu il massacro del popolo curdo, dove sia sua madre che suo padre persero i loro rispettivi coniugi. Fu grazie a questo spiacevole evento che i due si incontrarono, si sposarono e diedero alla luce il pittore. Il secondo evento invece lo coinvolse personalmente. Era il 1914 e tutto il popolo armeno fu cacciato dal paese o, nei casi più gravi, ucciso. Durante la prima guerra mondiale, nel 1915, Gorky scappò con la madre per allontanarsi dalle atrocità che l'impero ottomano commetteva sulle minoranze armene. Il padre era scappato in America già nel 1908, per evitare di svolgere il servizio di leva e lasciò quindi la famiglia che Gorky era molto piccolo. La madre invece morirà di inedia a Erevan nel 1919. Sarà una tragedia e sia Gorky che il fratello Vartoosh saranno ospitati da alcuni parenti. L'anno dopo furono costretti a ripartire perché l'Armenia stava per rientrare in guerra contro i Turchi, i Russi e i compatrioti. Si spostarono ad Istanbul e attesero ben sei mesi prima di potersi imbarcare alla volta dell'America. Fecero tappa a Atene, Petrasso, Napoli e infine Ellie Island, un piccolo isolotto artificiale, alla foce del fiume Hudson, costruito con i materiali rimanenti dopo la costruzione della metropolitana di New York. Inizialmente il suo adattamento non fu facile perché conosceva pochissimo l'inglese e non aveva avuto una buona istruzione, nonostante avesse frequentato più di una scuola. Non era un grande amante dello studio. Quando era piccolo intagliava bastoncini di legno, poi preferì lavorare in falegnameria e aiutare in un tipografia. Il tempo da dedicare allo studio si riduceva quindi drasticamente. Si sposò, ebbe due bambine (Maro e Natasha) ma il matrimonio non andò bene. Sembra che Roberto Matta (artista surrealista amico di Gorky, oltre che compagno di lavoro), abbia avuto una relazione con la moglie di quest’ultimo e inevitabile fu la loro separazione. La moglie diceva di amarlo, ma Gorky non ci credeva davvero. Cadde in una profonda e grave depressione. Nemmeno gli psicofarmaci faceva più effetto. Morì impiccandosi dentro una capanna abbandonata nel bosco dietro la sua abitazione. In una piccola casetta lì vicino aveva scritto con il gessetto bianco le sue ultime parole: "Addio mie amate". Dal punto di vista artistico Gorky è sempre stato interessato al Cubismo, oltre che al surrealismo. Nell’ultima fase della sua carriera pittorica, sperimentò anche l’automatismo. Nei suoi quadri, dove le forme sono indistinte e si confondono le une con le altre, è evidentissimo il suo stato d’animo. Non solo le macchie di colore (che spesse volte presentano delle “sgocciolature” ai bordi), ma anche le linee nervose e spezzate sottolineano la sua angoscia e la sua tristezza.



Anche Edward Hopper, pittore americano, su cui è stata realizzata una mostra circa due anni fa al Vittoriano di Roma, nelle sue tele esprime un grande senso di solitudine. Si potrebbe dire che le sue opere siano solitudine. Prima di tutto la luce fredda e statica crea la suddetta atmosfera, oltre la presenza di pochi personaggi immortalati sulle tele. La maggior parte delle volte è presente solo una persona, seduta ad un bar, oppure sdraiata su un letto. Hopper però non ritiene di aver mai dipinto quadri tristi. In un’intervista disse che questo era il suo modo di vedere il mondo. In ogni caso è ormai un’etichetta “affibbiatagli” e sarà difficile eliminarla. Nonostante tutto, anche se il pittore non è concorde con la critica, non si può negare un alone di tristezza nei suoi dipinti, anche se molto lieve.

Naturalmente la lista di artisti che hanno fatto uso del tema della solitudine e della tristezza, sarebbe ancora lunga, ma per questione di spazio, mi fermerò qui. Ho voluto dare più spazio alla figura di Arshile Gorky perché quella più tormentata e su cui si sono forse spese troppe poche parole. 


 

Per avere una panoramica molto più vasta sul pittore Arshile Gorky, vi consiglio la lettura del libro "Una storia armena. Vita di Arshile Gorky" di Matthew Spender, Barbès Editore, 2010. Matthew Spender è un pittore e scrittore, nato a Londra nel 1945. Si è sposato con la figlia di Gorky, Maro e ha deciso di condurre uno studio approfondito sulla vita del suocero. Ha letto e analizzato lettere e interviste rilasciate da Gorky quando era in America. Da questi studi è nato il libro, pubblicato inizialmente negli Stati Uniti nel 1999. Ha avuto un grande successo ed è considerato la migliore biografia del pittore armeno. 

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