"Lo sdegno di Marte" o anche conosciuto come "Marte punisce Amore" è un dipinto realizzato da Caravaggio durante la sua permanenza presso il cardinale Del Monte a Roma. La datazione, fissata intorno al 1594, dovrebbe, allo stato attuale delle ricerche, essere rivista. Infatti, secondo i recentissimi studi e le nuove scoperte d'archivio, Caravaggio sarebbe arrivato a Roma almeno due anni dopo la data menzionata sopra, ossia il 1596. In ogni caso la tela è poco conosciuta e di conseguenza anche gli studi su di essa sono carenti. Per prima cosa dobbiamo dire che, del quadro in questione, rimane oggi la copia di cui parleremo, conservata a Firenze, in collezione privata e un'altra a Chicago. Che cosa rappresenta? Il Dio Marte è inginocchiato e sta legando le braccia di Amore che guarda verso noi spettatori. Le sue ali sono aperte e ricordano, anche se non sono identiche, quelle bellissime di "Amore vincitore" altro magnifico dipinto realizzato per il cardinale Giustiniani o oggi conservato a Berlino. Il particolare della fune si trova spesso in Caravaggio, per esempio nel "David e Golia" del Prado di Madrid.
Cosa dicono le fonti letterario sul dipinto? Viene citato dal medico e biografo Giulio Mancini con il titolo "Sdegno di Marte" e menzionato come dipinto realizzato durante la permanenza presso il Del Monte. Il Mancini se lo sarebbe fatto promettere dal Merisi che in quel periodo era malato e che aveva visitato presso la casa del cardinale. Purtroppo però, l'opera originale non arrivò mai nelle mani del Mancini, perché il Del Monte la tenne per sé. Successivamente se ne farà realizzare una copia da Bartolomeo Manfredi (1613) che oggi si trova a Chicago, all'Art Institute. Anche Baglione parla di un "Amore divino che sottometteva il profano" ma sbaglia il tema. La domanda da porsi a questo punto è una: che fine ha fatto l'originale? Nell'inventario Del Monte del 1627 l'opera non compare. Forse era stata già venduta o regalata. Sappiamo che il Del Monte era solito donare opere del Merisi a suoi amici (basti pensare alla "Canestra di frutta" oppure alla "Medusa"). La mancata menzione potrebbe anche essere stata una svista dell'incaricato alla realizzazione dell'inventario, ma l'ipotesi appare alquanto dubbia e poco credibile.
Leggendo le lettere che Mancini si scambiò con il fratello Deifobo (febbraio 1613) scorgiamo la rabbia che nutriva nel constatare che l'opera si trovasse a casa Del Monte, nonostante lui si era fatto promettere il quadro per sé da Caravaggio quando era ammalato. Voleva una copia ma sapeva che sarebbe stato difficile averla. L'anno dopo però, nel 1614, Mancini riuscì a far copiare parecchie tele del cardinale Del Monte e forse a quell'epoca risale anche la copia in oggetto.
Per quanto riguarda l'originale, abbiamo già detto che non risulta nell'inventario Del Monte del 1627 e i motivi non sono noti. Si è così tentato di identificarlo con l' "Amor vincitore" per Giustiniani ma non è certo (e inoltre anche iconograficamente ci sarebbero tante incongruenze). La proposta di identificarlo con il "San Giovanni Battista" dei Capitolini è invece stata scartata a priori. Intanto perché il soggetto non è assolutamente uguale alla descrizione fatta e secondo perché Baglione lo cita come opera realizzata per Ciriaco Mattei.
Per ulteriori approfondimenti vi consiglio la lettura del libro "Caravaggio pictor praestantissimus" di Maurizio Marini, Newton&Compton, 2014.