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La ''Pietà Rondanini'' di Michelangelo. Un emozionante non-finito.


STORIA

La “Pietà Rondanini” è considerata l’ultima opera scultorea di Michelangelo Buonarroti ed è datata in un periodo compreso tra 1552 e il 1564, anno della sua morte. Non a caso si dice che l’artista la scolpì fino al giorno prima di esalare l’ultimo respiro. È conservata nel Museo della Pietà Rondanini, nel Castello Sforzesco di Milano. Il nome Rondanini deriva dalla famiglia romana che acquistò la statua. In particolare si tratta di Giuseppe Rondanini, un marchese, nato nel 1725 e morto nel 1801 senza lasciare eredi. Purtroppo non sappiamo come l’opera michelangiolesca arrivò nelle sue mani. Infatti della scultura non si seppe più nulla, fino a quando ricomparve nel 1807 proprio nel lascito della famiglia Rondanini. La prima testimonianza su un testo a stampa risale alla seconda versione delle “Vite” del Vasari, quella del 1568. Racconta che la “Pietà Rondanini” venne lasciata nella casa di Michelangelo a Macel de’ Corvi, vicino alla Colonna Traiana e nell’inventario viene così descritta: «una statua abbozzata con un Cristo e un’altra figura attaccate insieme». Ma cosa successe dopo la morte di Giuseppe Rondanini che, come abbiamo detto prima, non lasciò nessun erede? La famiglia Rondanini aveva un proprio palazzo sito in via del Corso, al cui interno era conservata la loro collezione di antichità. Lo scultore Carlo Albacini stila l’inventario dei beni e scredita la Pietà Rondanini. Si ritiene essere un “equivoco”, quindi non accetta la paternità michelangiolesca. Così recita l’inventario: «in mezzo all’intercolumnio dell’Ingresso vi è posto un gruppo moderno abbozzato che si dice opera di Michele Angelo Buonarroti, ma si conosce essere stato un equivoco, il medesimo rappresenta una deposizione dalla croce e di valuta [piastre] 30». La collezione è così dispersa e l’interesse per la “Pietà Rondanini” scema sempre di più. Il palazzo dei Rondanini inoltre cambia proprietari molto spesso: passa ai Capranica, ai Borghese, ai Feoli, agli Odescalchi e infine ai Sanseverino. Nel 1857 viene inciso, sulla base del gruppo scultoreo, il nome di Michelangelo, ma sembra comunque non interessare a nessuno. La statua verrà spostata nel cortile di Palazzo Rondanini (diventato sede dell’Ambasciata di Russia), addossata a una parete e lì rimase almeno fino al 1911. Ma come arrivò a Milano? Abbiamo detto poco fa che il Palazzo Rondanini andò in mano a varie famiglie, fino a giungere ai Sanseverino. Nel 1946 questi ultimi vendono il palazzo e si trasferiscono in una piccola villa. La statua viene così disposta per uso domestico e viene dato il permesso di poterla ammirare in orari stabiliti. Sarà poi venduta per la cifra di 135 milioni di lire al Comune di Milano ed esposta nella cappella ducale del Castello Sforzesco. In realtà si voleva conservare l’opera nella Pinacoteca di Brera, ma la direttrice di allora, non riuscì nell’intento.



SOGGETTO E TECNICA

Michelangelo affrontò un blocco di marmo già abbozzato precedentemente con un’altra Pietà. Era ormai anziano, ma questo non incise sulla sua voglia di lavorare e dare il meglio di sé. L’opera è in un evidente stato di “non-finito”, ma già emerge tutta la forza michelangiolesca. Sono solo due le figure presenti: Gesù e la madre Maria. Inoltre è visibile un avanbraccio, quasi del tutto completato, che sembra essere fuori contesto. Anche le gambe del Cristo sono in un evidente stato avanzato. Questo ci fa capire che entrambe le parti rientrano in una prima fase progettuale. Sono rimasti infatti alcuni disegni che testimoniano lo studio condotto da Michelangelo per scolpire il blocco marmoreo. Uno di questi si trova all’Ashmoletan Museum di Oxford. Michelangelo disegna con la matita nera più di un bozzetto. Nei primi due gruppi a sinistra vediamo degli studi che sono molto vicini alla statua visibile oggi in museo. Poi sembra che Michelangelo cambi idea e decida di creare una nuova figura sia per il Cristo che per Maria.


OGGI

Oggi la scultura si trova posizionata sopra un basamento contemporaneo. Fino al 2015 però poggiava su un’antica ara funeraria che fungeva da base, facente sempre parte delle collezioni di antichità dei Rondanini. Molto probabilmente è un’ara funeraria del I secolo d.C. Venne ritrovata a Porta San Lorenzo a Roma e rappresenta, nel riquadro in alto, il liberto Marco Antonio Asclepiade, ritratto a mezzo busto, che tiene per mano la moglie Giulia Filomena. In basso vediamo invece la scena del Ratto di Proserpina. Nelle facce laterali ci sono due alberi d’alloro con due uccelli.


CURIOSITA’

Sembra che il volto non ancora finito del Cristo, abbia i tratti somatici di Michelangelo. Si tratterebbe quindi di un autoritratto. Non è la prima volta che l’artista si ritrae nelle sue opere. Qualcuno si ricorderà che un suo autoritratto è presente anche nel “Giudizio Universale” nella Cappella Sistina a Roma. È identificato nella pelle che regge il San Sebastiano.


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