Quasi tutti i musei del mondo hanno una sezione dedicata agli oggetti «dubbi». Provenienza ignota, acquisto dal mercato antiquario, perdita dei documenti che ne attestino la veridicità…questi sono alcuni dei fattori che contribuiscono a creare un alone di sospetto intorno ad alcuni oggetti. Talvolta, tuttavia, può anche succedere che i reperti in questione siano esposti al pubblico e che la loro autenticità non sia mai stata considerata problematica. È questo il caso, ad esempio, dei cosiddetti «Rotoli del Mar Morto», conservati al Museo di Washington. Si tratta di una raccolta di circa 900 documenti che costituiscono la copia più antica mai ritrovata del testo biblico: i più antichi risalgono a oltre 2000 anni fa. La loro importanza storica risiede inoltre nell’essere una testimonianza della fine del tardo giudaismo del Secondo Tempio.
Già nel 2017 alcuni studiosi avevano sollevato il dubbio che non si trattasse di testi autentici. Soltanto pochi giorni fa però cinque pergamene sono state definitivamente ritirate dalle sale per «caratteristiche inconsistenti con le origini antiche». Alcune indagini hanno infatti evidenziato che si tratterebbe di imitazioni di epoca moderna e non di originali. La storia del corpus è press’ a poco la seguente. A partire dal nuovo millennio sono stati ritrovati numerosi rotoli ritenuti parte dell’insieme dei Rotoli del Mar Morto: la maggior parte proveniva dall’Iraq. Tra questi reperti ce ne sarebbero stati anche alcuni venduti alla famiglia di Steve Green, fondatore del Museo di Washington. Per mezzo del contrabbando illegale di opere d’arte i rotoli sarebbero poi stati trasportati negli Stati Uniti. Una volta giunti negli USA, S. Green li avrebbe esposti nel Museo, cui poi li avrebbe donati.
Oggi tuttavia, a causa delle pressioni di alcuni esperti, ben 16 frammenti sono stati analizzati con la microscopia digitale 3D. Oltre alle scuse, il Museo ha ritirato prontamente i documenti dall’esposizione e ha dovuto pagare una sanzione di 3 milioni di dollari ai finanziatori dell’istituzione per aver acquistato materiale di contrabbando.
La vicenda deve indurci a riflettere. Non sempre infatti bisogna fermarsi alle apparenze, ma occorre ricostruire la storia dei reperti e i loro possessori. Questo è fondamentale per assicurarsi di condividere col pubblico materiale autentico. Se così non fosse, infatti, l’istituzione diffonderebbe notizie false e produrrebbe un danno alla cultura
Non si può pertanto che essere d’accordo con quanto affermato dal capo curatore del Museo di Washington, Jeffrey Kloha, secondo il quale una situazione del genere costituisce «un'opportunità di educare il pubblico sull'importanza di verificare l'autenticità dei rari reperti biblici».