Se pensate che Artemisia Gentileschi sia stata l’unica pittrice donna ad essersi distinta per coraggio e grande qualità artistica, vi sbagliate! Elisabetta Sirani, nata e morta a Bologna (1638-1665), è stata un’altra donna capace di distinguersi nel campo pittorico e di far parlare di sé anche a secoli di distanza dalla sua scomparsa. Figlia di Giovanni Andrea Sirani (seguace di Guido Reni), ereditò dal padre la passione per il disegno e il dipingere. Giovanni Andrea è stato il fondatore di una bottega d’arte frequentata dalla migliore fetta di società bolognese del tempo. Sarà Elisabetta poi a prendere le redini di questa bottega, dopo che il padre, ammalatosi di artrite deformante, non riuscirà più gestire il suo lavoro. Era il 1661. Una volta presa in mano l’organizzazione della bottega paterna, la giovane donna la riformulò, trasformandola in una scuola di disegno aperta anche alle ragazze. Non era una cosa da poco, visto che permetteva, per la prima volta alle donne, di studiare i nudi maschili dal vero. Le normali scuole di disegno infatti, non lo permettevano.
Interessanti sono le parole del Malvasia sulla giovane pittrice: «ardita e animosa, operando in un modo che ebbe del virile e del grande, superando quasi anche il padre». Per la prima volta si parla di “virilità” anche per una donna. Un aggettivo che veniva sempre e solo associato alle figure maschili. Fu proprio Cesare Malvasia ad incoraggiare la ragazza a coltivare il suo talento. I suoi primi lavori furono realizzati per committenza privata ed erano di piccolo formato, i cosiddetti “quadretti da letto”. Una delle prime “operette” è stata “Sant’Antonio da Padova e Gesù Bambino” dove chiara è anche la mano del padre che dipinge il Cristo bambino e il mantello del santo.
Elisabetta Sirani era brava a schizzare le figure con la tecnica dell’acquerello, con tocchi di pennello piccoli e svelti. Un esempio lo troviamo nel “Battesimo di Cristo” alla Certosa di Bologna, vicino all’opera paterna “Cristo in casa del fariseo”. Sono evidenti i richiami alla pittura veneta appresi dal padre, ma altrettanto nuovi sono gli elementi audaci di luce e ombre che Elisabetta fa suoi nelle proprie opere.
I suoi soggetti preferiti non furono solo di stampo religioso (“Madonna col Bambino e san Giovannino” o la “Madonna del latte” solo per fare un esempio), molto usati furono anche soggetti femminili, dove protagoniste erano donne ed eroine bibliche. È il caso di “Porzia”, moglie di Bruto, dipinta mentre si ferisce ad una gamba, per dimostrare al marito che anche le donne sono capaci di gesti violenti e coraggiosi. Altrettanto bello e denso di messaggi che oserei definire “femministi”, è il quadro “Timoclea uccide il capo dei traci”. Timoclea si vendica del suo violentatore, avvicinandolo con una scusa presso un pozzo, per farlo poi cadere dentro. Importante sottolineare però una differenza con Artemisia Gentileschi. Elisabetta Sirani non ha subito violenza fisica e le sue tele non devono essere viste come un riflesso delle vicende della sua vita. Lei scelse di mantenere la verginità e si identificava quindi in eroine come Timoclea. Elisabetta è stata una donna forte e consapevole del valore delle sue scelte.
Un’altra opera degna di essere citata è “Ritratto di Anna Maria Ranuzzi Marsigli come Carità”. La donna è raffigurata con i suoi tre figli, in una posa molto vicina a quella delle Madonne con il Bambino. La luce è quasi “rembrantiana”, molto cupa, ma allo stesso dona alla figura un’aura di sacralità e fierezza.
Purtroppo la vita di Elisabetta Sirani terminò alla giovanissima età di ventisette anni. Era l’agosto del 1665. Si dice sia deceduta per una gastrite ulcerosa. Come lo sappiamo? Dall’autopsia che fece fare il padre per capire come fosse morta la figlia. Girava infatti una voce, forse una diceria, che la giovane ragazza fosse morta per avvelenamento. L’assassina sarebbe stata la domestica, gelosa della ragazza. In realtà furono sospettati anche il padre e un’allieva della Sirani: Ginevra Cantofoli, probabilmente gelosa per una contesa d’amore.
Elisabetta Sirani fu sepolta vicino a Guido Reni, nella tomba della famiglia Guidotti nella Cappella del Rosario della basilica di San Domenico a Bologna. La sua riscoperta avvenne negli anni Quaranta del Novecento e data emblematica è considerata il 1947. In questo anno infatti l’antica “Scuola Provinciale femminile di arti e mestieri” di Bologna, venne chiamata “Istituto femminile di arti e mestieri Regina Margherita” e fu intitolata a Elisabetta Sirani.