Di Federica Pagliarini
Proprio in questi giorni è in corso una mostra dedicata al pittore George de la Tour, a Palazzo Reale di Milano. Chi è più addentrato nel mondo dell'arte, conoscerà i suoi quadri ricchi di contrasti chiaroscurali, talmente forti da sembrare finti e artificiali. La sua attività pittorica è divisibile però in due fasi: i dipinti in chiaro ascrivibili al periodo che va dal 1618 al 1634 e quelli notturni posizionabili nella fase finale della sua carriera, ossia tra il 1635 e il 1652.
La sua carriera è lunga ben trentacinque anni, ma a noi rimangono all'incirca una quarantina di dipinti, probabilmente un decimo della sua produzione reale.
Grazie ad un documento conservato nei registri parrocchiali dell'Archivio municipale del villaggio francese di Vic-sur-Seille (in Lorena), dove il pittore è nato il 14 marzo 1593, si è scoperto che la Tour era figlio di un fornaio, di nome Jean de la Tour e della moglie Sybille. Il padre era un imprenditore benestante e questo permise a George de la Tour una vita di tutto rispetto. Non sappiamo però dove si formò dal punto di vista artistico. Si pensa a Claude Dogoz, ma nessun documento d'archivio lo può attestare. Sappiamo però che in quel periodo il centro più attivo dal punto di vista intellettuale e artistico, era Nancy, dove lavorava Jacques Bellange, pittore che studiava la luce. Forse il nostro pittore potrebbe averlo incontrato.
La Lorena al tempo era un luogo aperto a scambi culturali, un punto di passaggio, soprattutto tra Italia e Paesi Bassi. Si erano infatti formate delle piccole comunità di artisti sia a Roma che in Lorena. Nonostante tutto però non abbiamo documenti che attestino la presenza di George de la Tour in Italia e tanto meno a Roma.
Sappiamo con certezza che il pittore si trovava a Parigi nel 1613. Proprio dalla capitale francese giungono nel 1694, una serie di dipinti raffiguranti gli apostoli (sicuramente realizzati in Lorena), che si trovavano nella casa di un collezionista. I personaggi dovevano essere tredici, ma ne sono rimasti sei: Giacomo minore, Giuda Taddeo, Filippo, Andrea, Tommaso e Giacomo maggiore. A prima vista notiamo la forte umanità data agli apostoli, tanto da sembrare veri. La figura è dipinta a mezzo busto e occupa quasi tutta la tela. Lo sfondo è semplice, scuro e mette in evidenza l'apostolo di riferimento, colto in un attimo di meditazione profonda. Veramente bello il San Filippo, con le mani giunte altezza vita e il volto piegato in basso, occhi socchiusi. Si nota un misto tra meditazione e sofferenza. Il realismo è evidente e la critica si è spesso domandata da dove la Tour lo potesse aver ripreso. Si è pensato a Caravaggio, ma anche ad artisti fiamminghi come Gherardo delle Notti e Hendrick Terbrugghen. Come però è impossibile stabilire un legame con Caravaggio, dato che non ci sono documenti che lo possano attestare, allo stesso modo non è possibile stabilire un legame con i fiamminghi, dato che non sono attestati neanche viaggi nei Paesi Bassi.
Un altro quadro interessante dal punto di vista del realismo è I mangiatori di piselli, 1618-20, conservato a Berlino, allo Staatliche Museeun. Prima di tutto dobbiamo dire che in realtà i due personaggi stanno mangiando delle lenticchie e non dei piselli. Le lenticchie erano un legume davvero importante a quel tempo, soprattutto per il fabbisogno energetico dei contadini. L'uomo e la donna sono rappresentati in primo piano mentre mangiano, direttamente dalla ciotola, le lenticchie. C'è il riferimento alla storia di Giacobbe. Il patriarca acquistò la primogenitura dal fratello Esaù per un piatto di lenticchie. Rispetto agli apostoli visti prima, in questo caso traspare l'avidità e l'egoismo. L'uomo e la donna non si guardano, non si nota empatia, mangiano in solitaria senza preoccuparsi l'uno dell'altro. Questo dipinto da parte delle famose scene di "genere", raffiguranti attività quotidiane, semplici, ormai diventate nel XVI secolo molto famose e richieste, soprattutto da un pubblico che ormai si stava enormemente allargando.
Ma alla domanda George de la Tour è caravaggesco, cosa dobbiamo rispondere? Come detto in precedenza non ci sono documenti che attestano un incontro tra i due, quindi non possiamo intendere il caravaggismo come uno scambio culturale e artistico tra i due. È però vero che entrambi rifiutarono i metodi pittorici tradizionali, quei "topoi" ormai fissati e che sembravano ineluttabili.
Guardiamo un attimo il quadro La buona ventura, datato 1620-25 e conservato al Metropolitan di New York. Il titolo cosa ricorda? Ovviamente Caravaggio che dipinse ben due versioni della "Buona Ventura", una conservata a Roma e l'altra a Parigi. I due pittori non si sono incontrati fisicamente ma erano vicini entrambi a questa pittura di genere che tanto piaceva soprattutto ai committenti privati, perché erano quadri realizzati prevalentemente per essere posti in ambienti personali. Nel quadro di George de la Tour, considerato fino a qualche anno fa non autografo, vediamo la tipica scena della zingara che sta leggendo la mano ad un giovane ragazzo. Nel mentre, dalla parte opposta del quadro, un'altra donna gli sta sfilando dei gioielli. Il committente dell'opera è stato forse un ricco parigino. I vestiti indossati dalle donne, ossia il tessuto d'arazzo legato sulla spalla, rappresentano la moda delle zingare di quegli anni. Solo una donna non lo indossa, ed è quella con la candida carnagione rosea che si trova tra il ragazzo e la donna più anziana. Forse è una donna esterna, ma sempre complice del misfatto. Queste tematiche erano davvero molto diffuse in quell'epoca. Anche la scena dei bari, la stessa che rappresentò anche Caravaggio, è stata dipinta da George de la Tour, si intitola Il baro con asso di fiori, del 1620-21 e è conservata a Forth Worth, al Kimbell Art Museum, insieme ai Bari del Merisi. L'impostazione è caravaggesca. George de la Tour mette in guardia lo spettatore dal diffidare dai piaceri effimeri. Il giovane è ubriaco e si è fatto abbindolare dalla cortigiana a giocare d'azzardo. Di questo soggetto esiste un'altra versione, quasi identica, che si trova al Louvre di Parigi. Qui è diverso il seme della carta che ha in mano il giovane e anche il suo abito, molto meno sfarzoso.
Arriviamo adesso a parlare dei suoi quadri "a lume di candela", quelli realizzati per preciso scopo devozionale, realizzati tra il 1630 e il 1640. Questi quadri sembrano ricordare il luminismo chiaro-scurale di Caravaggio, ma de la Tour usa una luce prevalentemente artificiale, prodotta dalle candele, dalle torce e dal lume ad olio. Questa luce, che accentua le zone di luce e di ombra, non serve ad accentuare il realismo, ma a negarlo. Vediamo la serie della Maddalena penitente, quattro tele dipinte tra il 1635 e il 1645. La donna è seduta, davanti a lei uno specchio, una candela e un teschio. Nonostante l'iconografia sia molto simile in tutte e quattro le versioni, ci sono delle diverse intensità date alla luce e all'ombra. La più bella versione è quella conservata a New York, al Metropolitan Museum, chiamata anche la Maddalena con due fiamme, 1635-40. La donna è seduta, di profilo. Davanti a lei uno specchio e una candela, unica fonte di luce del quadro. Sul grembo è poggiato un teschio, simbolo di "vanitas", sul tavolo vediamo gli orecchini e la collana di perle, tutti oggetti che indicano il suo ruolo di prostituta. Allo stesso tempo però è chiaro l'intento di pentimento e redenzione della donna.
I quadri notturni più famosi del pittori sono stati dipinti in un periodo molto buio per la Lorena. Nel quarto decennio del XVII secolo, in particolare a Lunéville, si abbatte una brutta epidemia di peste. Nello stesso momento la città era stata anche occupata dai francesi che volevano impedire che l'esercito lorense tornasse a occuparla. George de la Tour con la moglie scappano a Nancy, poi dal 1638 si stabilisce a Parigi. In questo periodo il pittore realizza maggiormente figure di santi, visti come intermediari tra gli umani e Dio. Non prende alla lettera le storie agiografiche di ogni santo, cerca invece di cogliere gli aspetti più umani e interiori.
Guardiamo subito il dipinto Giobbe deriso dalla moglie del 1650, conservato al Musée Départemental d'Art Ancien et Contemporain. La figura che spicca subito agli occhi è quella della donna con una candela in mano che le illumina gran parte della veste. Giobbe è seduto su uno sgabello, mezzo nudo che guarda con volto sofferente la moglie. L'unico riferimento al suo personaggio è la scodella rotta per terra con cui era solito grattarsi le ferite procurate da Dio. Giobbe credeva in Dio ed era stato per questo deriso, oltre che dalla moglie, anche dagli amici. Ai tempi della peste, Giobbe era un personaggio importante, perché esempio di salda resistenza.
Le sue immagini diventano didascaliche, ricreano la tematica religiosa rendendo umani i santi e santificando gli esseri umani che acquistano più dignità.
Continuano in ogni caso le rappresentazioni di scene di genere, come Fanciullo che soffia su un tizzone, del 1640, Digione, Musée des Beaux-Arts.Un giovane ragazzo ha le guance gonfie: sta soffiando per far ravvivare un pezzo di brace, per accendere il lume. Non è l'unico esempio, abbiam anche Fanciulla con il braciere del 1640 e Il soffiatore con la pipa sempre del 1640. In tutti e tre gli esempi vale il gesto simbolico di animare la luce divina con la fede, in modo che possa accompagnare il fedele nel proprio cammino.
Molto bella la Natività del 1646-48, nata in un periodo triste nella vita privata del pittore. Erano infatti morti prematuramente sette dei suoi nove figli. La nascita di Gesù è rappresentata con grande amore e tenerezza. Anche in questo caso la luce proviene da una candela che tiene in mano la donna a sinistra. Non c'è più qui la freddezza dei quadri di genere, al contrario sembra voler dire e sperare che il futuro sarà meglio del presente.
L'ultimo dipinto documentato del pittore è Giocatori di dadi del 1650 circa, conservato a Middlesbrough, al Teesside Museum. L'opera è firmata, ma una gran parte della critica ci ha visto anche le mani di aiuti. La scena è di genere, il soggetto era stato usato da tanti altri artisti del tempo. Vediamo tre soldati lanciare i dadi, accanto a loro due uomini dall'aria sospetta: a sinistra vediamo un cavaliere di profilo che sembra ricordare Richelieu, a destra invece una figura che molti critici hanno pensato si trattasse di una ragazza. I piaceri vani sono i protagonisti, la pipa con il fumo dell'ipotetico Richelieu, simbolo di "vanitas" e la ragazza a destra che indossa un copricapo maschile, simbolo da virago e l'orecchino di perle che indica invece vanità. George de la Tour vuole sottolineare come le cattive abitudini e gli hobby senza senso, siano praticati da entrambi i sessi, senza distinzione di sorta.
George de la Tour morirà a cinquantasette anni, nel 1652, per una pleurite.
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