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Emozione Arte

Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi detto Botticelli: una breve analisi artistica


Sandro Botticelli (vero nome Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi) è nato il 1° marzo 1445 in un’umile casa nel quartiere di Ognissanti a Firenze, da Marino di Vanni Filipepi (un conciatore di pelli) e da “monna Smeralda”. Era il quarto figlio e i genitori lo avevano avuto in età avanzata. Il primogenito Giovanni infatti aveva già ventiquattro anni. Il nome Botticelli è un soprannome, in realtà dato a suo fratello maggiore che svolgeva il lavoro di sensale e aveva la fama di essere un gran mangione.

La prima istruzione dovette essere quella che tradizionalmente si faceva praticare ai figli degli artigiani, quindi la lettura e l'apprendimento dei conti, cose quindi molto basilari. Botticelli però mostrò un grande inclinazione per le letture classiche. Amava molto Dante e conosceva bene la “Divina Commedia”.

Il padre avrebbe voluto avviare il figlio alla carriera mercantile, ma fin dall’adolescenza il nostro artista aveva mostrato un’eccellente bravura nel disegno e nella pittura. Fu così introdotto nella bottega di fra’ Filippo Lippi. Quest’ultimo è conosciuto per la sua relazione con la monaca Lucrezia Buti (da cui nacque un figlio, Filippino nel 1457), ma è conosciuto anche per la sua pittura aggraziata. Era uno dei capomastri più importanti del periodo e Botticelli non poté che essere contento di entrare a far parte della sua bottega.

Nel 1469 sembra che Sandro si fosse già messo in proprio aprendo una bottega al piano terra della sua casa. La sua “scuola” fu attiva per tutta la sua vita e fu sempre ricca di allievi e garzoni pronti ad imparare dal maestro.

Nelle prime opere dell’artista toscano si nota una vicinanza allo stile del maestro Lippi, come vediamo nella tavola della “Madonna con il Bambino e due angeli” (1465-69) conservata al Museo di Capodimonte a Napoli. L’impianto è molto vicino alla “Madonna” di Lippi che si trova invece agli Uffizi. Simile lo sguardo della madre che guarda il bambino e vicino anche il paesaggio sullo sfondo che in Botticelli è più nascosto da un recinto di marmo che si alza dietro le figure (in Lippi invece il paesaggio si apre oltre una finestra). Non sappiamo chi fu il committente dell’opera e probabilmente non lo sapremo mai a causa soprattutto delle forzate ridipinture e puliture che ne hanno sconvolto la lettura.

Botticelli si avvicinò molto presto ai Medici. Il legame è sancito dalla “Pala di Sant’Ambrogio” dove figurano i santi Cosma e Damiano, protettori della famiglia medicea. La loro protezione era quasi un obbligo in una città dove si contendevano il primato e le committenze due botteghe famose: quella del Pollaiolo e quella del Verrocchio. Tra l’altro in quest’ultima scuola si stava formando l’astro nascente di Leonardo da Vinci.


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Negli 1469 Botticelli riuscì ad avere la commissione delle sette “Virtù” teologali e cardinali per la spalliera dell’Udienza del Tribunale della Mercatanzia, soffiandola ai fratelli Pollaiolo. Oggi si possono ammirare agli Uffizi e sono di una bellezza da togliere il fiato. Sempre di questo periodo è la “Giuditta e la fantesca con la testa di Oloferne” che ricorda molto gli affreschi a Prato con la “Danza di Salomè”.

Grazie ai Medici Botticelli ebbe la commissione per la realizzazione dello stendardo (ormai scomparso) raffigurante “Pallade e Amore”, facente parte della bardatura di Giuliano de’ Medici nella giostra tenutasi il 29 gennaio 1475. Una testimonianza è la “Pallade armata”, una porta intarsiata da un gruppo di legnaioli, il cui cartone venne realizzato da Botticelli per la porta della Sala degli Angeli nel Palazzo Ducale di Urbino. L’eleganza della dea è straordinaria. È in piedi e tiene con la mano sinistra lo scudo con la Gorgone e con la destra una lunga lancia. È inserita in una nicchia il cui abside è decorato da una conchiglia (ricorda la “Pala di Brera” di Piero della Francesca). Non voglio in questa sede soffermarmi su opere famose come la “Primavera” e la “Venere”, ma su un’opera forse meno conosciuta dal grande pubblico, ma non per questo poco importante. Sto parlando dell’ “Annunciazione” di San Martino alla Scala (1481). Si tratta di un affresco ubicato un tempo nella parte superiore della parete destra della loggia della chiesa dello Spedale di San Martino alla Scala a Firenze. Nel 1624 subì purtroppo dei vistosi danni, perché trasformarono la loggia della chiesa in atrio e si divise la parte in alto in due lunette. Nel 1920 l’affresco venne “strappato” dal muro (termine tecnico di restauro che vedrete spiegato alla fine di questo articolo) e oggi si trova agli Uffizi. La scena è nettamente divisa in due parti da pilastri riccamente decorati. A destra vediamo Maria, nella sua stanza, in preghiera e inginocchiata al cospetto dell’angelo. A sinistra l’arcangelo Gabriele dà il suo annuncio alla Vergine. Dal suo viso vediamo partire dei raggi dorati indirizzati verso la Vergine: sono il simbolo della Spirito Santo. Molto bello il paesaggio dietro la figura angelica che si raggiunge percorrendo un corridoio esterno che termina con un muro merlato, ossia le mura della città che, tra l’altro, non erano così lontane dallo Spedale. Sono i tipici elementi dell’ “hortus conclusus”, simbolo di verginità e purezza (come lo era anche il classico giglio tenuto in mano dall’arcangelo). L’affresco non fu subito attribuito al Botticelli. I critici Cavalcaselle e Crowe infatti lo assegnarono a Filippo Lippi. Solo Herbert Percy Horne lo attribuì al Filipepi. Abbiamo anche notizia dei pagamenti effettuati da Botticelli per la realizzazione dell’affresco. L’opera venne pagata in più volte nel corso della primavera del 1481 da un banchiere dello Spedale (sicuramente incaricato da Botticelli).



Il dipinto può essere considerato una prova prima della partenza del pittore per Roma. Non bisogna infatti dimenticare l’importantissima presenza dell’artista nella Cappella Sistina. Grazie alle buone relazioni tra i Medici e il Papa, Botticelli partì insieme ad altri insigni pittori del tempo, come Perugino e il Ghirlandaio per affrescare le pareti della cappella voluta da papa Sisto IV della Rovere. In particolare realizzò tre affreschi: “Le prove di Cristo”, “Le prove di Mosè” e “La punizione dei ribelli”. Al suo ritorno a Firenze lo attesero altri lavori, come il dipinto “Pallade e il centauro” (1482) che nel 1498 doveva trovarsi nella casa di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici in via Larga. Anche qui i legami con i Medici sono evidenti. Il quadro simboleggia la vittoria della ragione sui sensi e fu dipinto per le nozze di Cosimo il Vecchio con Semiramide Appiani. Si possono vedere infatti gli anelli medicei intrecciati sulla veste della dea.

Il neoplatonismo accompagnò l’arte di Botticelli quasi per tutta la sua carriera. La cosa non deve stupire visto l’interesse nutrito dai Medici per questo argomento. I temi della bellezza e dell’amore divennero infatti centrali. Secondo il neoplatonismo l’uomo, se spinto dall’amore, poteva ergersi dal rango basso della materia a quello dello spirito. Anche il mito è stato ampiamente rivalutato, tanto da essere paragonato ai temi di pittura sacra. La Venere per esempio, venne riscoperta totalmente in questo periodo. Si paragonò alla Venere celeste, simbolo di amore spirituale.

Nel 1493 morì il fratello Giovanni. Nel 1498 Botticelli denunciò i suoi beni al catasto e ne uscì fuori un buon patrimonio: una casa nel quartiere di Santa Maria Novella e un reddito dato dalla villa di Bellosguardo, vicino Firenze. Come Leonardo anche Botticelli non fu esente da denunce per sodomia. Era il 1502 quando venne accusato di avere una relazione con un garzone della sua bottega. Ovviamente non possiamo sapere se la storia sia vera o meno, ma le accuse di sodomia erano quasi all’ordine del giorno in quegli anni e sembravano non risparmiare nessuno. Gli ultimi anni di vita di Botticelli non furono dei più rosei. La sua fama stava scemando sempre di più a causa dell’ascesa del grande Leonardo e di Michelangelo. Morì solitario il 17 maggio 1510. La sua salma si trova nella chiesa di Ognissanti di Firenze.


 

STRAPPO DI UN AFFRESCO

In cosa consiste? Prima di procedere bisogna effettuare una buona pulizia dell’affresco per eliminare sporco o ridipinture. Subito dopo si procede come segue: si incollano sul dipinto due strati di tela (la colla più usata è la colla forte di animale, detta anche “colla di Zurigo” o “colla cervione”). Il primo strato è formato da mussola di cotone e il secondo è di lino. È importante che non si formino bolle d’aria o parti con poca colla (infatti le parti che non hanno aderito rimarrebbero sul muro). Una volta che la colla si è asciugata, si batte con un martello di legno l’affresco, per far sì che si stacchi con più facilità l’intonaco. Successivamente si inserisce tra il muro e l’intonaco una lunga lama partendo dalla parte bassa. Una volta che l’affresco è stato staccato o strappato, si deve girare sul retro e l’intonaco si assottiglia fino a che assume uno spessore di pochi millimetri. Sempre sul retro si incollano quindi due tele dello stesso materiale di quelle incollate davanti. Una volta asciutte, si gira nuovamente l’affresco e con acqua calda si tolgono le tele usate precedentemente per staccarlo. Ora l’affresco può essere inserito sul nuovo supporto.

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