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Il ritorno del guerriero di Corinaldo: scoperta una nuova tomba picena


Suasa, VII secolo a.C. – Il carro avanza lentamente verso la zona di sepoltura. Le ruote di ferro scricchiolano sulla ghiaia del sentiero, riflettendo la luce debole delle torce. Il corteo si snoda lento e avanza stanco tra le urla strazianti delle donne in lacrime. La strada è appena illuminata, mentre attorno il buio inghiotte la foresta. Tutta la comunità si è riunita per rendere omaggio al guerriero, ognuno reca vasi e offerte per salutarlo prima che intraprenda il suo ultimo viaggio. Tutto è stato predisposto per questo: la sua armatura, le sue armi, gli spiedi. Manca solo la consolazione per il dolore che le lacerava il petto, pensava la moglie, tenendo per mano il figlioletto. Solo il tempo lo avrebbe curato.

I Piceni abitarono l’Italia preromana tra il IX e il III secolo a.C.. Il loro dominio comprendeva un vasto territorio della nostra penisola, in parte coincidente con le odierne Marche: proprio qui è emerso il maggior numero di testimonianze ad essi relativi. Essendo un popolo pre - romano, i siti da loro costruiti sono oggi rarissimi da trovare, dal momento che spesso sono stati abitati continuativamente nei secoli e pertanto le strutture un tempo presenti sono state sostituite da altre più recenti. Per questo motivo, quando pochi giorni fa gli archeologi del Progetto Archeonuvola, in collaborazione con altri enti e strutture universitarie di diversi poli dell’Italia centrale, hanno ritrovato una tomba appartenente a questo periodo storico nel comune di Corinaldo, vicina all’antica Suasa, lo stupore è stato enorme. Attenzione però: non si tratta di una scoperta accidentale: studiando l’area mediante radar era stata infatti già stata individuata la struttura. Questo aveva spinto gli studiosi ad un’indagine più invasiva. Ancora una volta, l’antico chiede aiuto alla modernità e la ricerca ne esce vincitrice.



Non si tratterebbe di una sepoltura comune, ipotizzano gli studiosi, ma, probabilmente, di quella appartenuta a un personaggio di alto rango della società picena. Dal punto di vista archeologico, il sito si presenta come una fossa circolare di circa 30 m di larghezza, contenente una gran quantità di frammenti di vasellame e oggetti di corredo. Gli archeologi presenti in loco hanno immediatamente avanzato le prime ipotesi interpretative: si tratterebbe della sepoltura di un guerriero, risalente al VII secolo a.C., costituita da un tumulo per i resti ossei, sotto al quale era stato scavato uno spazio per il ricco corredo. È stato possibile arrivare a questa deduzione grazie a diversi indizi presenti tra quanto ritrovato: innanzitutto, sono state rinvenute alcune ruote in ferro, probabilmente appartenenti a un carro, veicolo che soltanto gli individui più in vista della società dell’epoca potevano permettersi. Accanto a queste, un elmo e alcuni spiedi per la carne, indicativi della professione del defunto ed evidentemente sepolti con lui per sottolinearne il rango.

Solo chi aveva un patrimonio ingente infatti poteva permettersi di seppellire strumenti ed oggetti così preziosi, mostrando così alla comunità di poterne acquistare di nuovi. Tra i resti del vasellame, inoltre, è sembrato di riconoscere prodotti di importazione, il che testimonierebbe, ancora una volta l’alto rango del defunto: proprio a partire dal VII secolo a.C., infatti, si hanno testimonianze di scambi commerciali tra l’ambiente piceno e quello greco-orientale e laconico, oltre che etrusco. La datazione proposta è basata inoltre sulla decorazione di alcuni frammenti ceramici, la quale presenta le tipiche figure geometriche di quel periodo. In questo contesto, la tomba «a tumulo con fossato» sarebbe ben compatibile con le tendenze conosciute del periodo: proprio a partire dal VII secolo infatti diventano sempre più frequenti i contatti tra i Piceni e gli Etruschi, da cui la suddetta tipologia sarebbe derivata. In epoche più antiche infatti i Piceni non erano soliti seppellire il corpo dei defunti, ma ricorrevano alla pratica dell’incinerazione. «La camera con i resti umani non si è conservata purtroppo.

Forse era stata portata via già dagli aratri tardo Romani o medievali» afferma la direttrice dello scavo Federica Boschi. In ogni caso, sono emersi alcuni frammenti ossei, e si spera che lo studio del cui DNA possa fornire ulteriori delucidazioni sull’identità del defunto.

Sarà indubbiamente necessario condurre studi più approfonditi: la fossa presentava riseghe, rivestimenti o nicchie particolari? Il corredo è disposto secondo uno schema preciso? È possibile ricostruire in che posizione è stato sepolto il defunto? O ancora: di che tipo è l’elmo ritrovato? È possibile confrontarlo con altri rinvenuti in altri siti? Questi sono soltanto alcuni spunti, per far comprendere quanto, in realtà, la ricerca archeologica sia complessa. Si tratta di dettagli, che tuttavia ci permettono di arrivare sempre più vicino alla soluzione dell’enigma. Ogni scoperta infatti porta con sé più domande che risposte: il compito degli archeologi è rispondere al maggior numero possibile di queste.

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