Il palazzo di Cnosso costituisce oggi una tappa obbligata per chiunque visiti l’isola di Creta. Polo socio - economico della società minoica, attorno al 2000 a.C. costituiva il fulcro di tutte le attività locali. La sua estensione era proporzionale alla sua importanza: stanze e magazzini si alternavano a spazi aperti, per un totale di 22.000 mq. I locali erano decorati con affreschi a tema marino o religioso dai colori sgargianti. La pianta, molto complessa e intricata, è il motivo a cui si fa risalire la leggenda del labirinto e del Minotauro.
Oggi, enormi distese lastricate e assolate separano gruppi di rovine attorno alle quali si assiepano i turisti. Le guide, cercando di sovrastare il frinire incessante dei grilli, spiegano le funzioni principali dei vari ambienti della struttura per far immedesimare i visitatori nella magnificenza del passato. In realtà, tuttavia, la maggior parte di quello che si vede oggi è pura ricostruzione. Il sito fu infatti scoperto nel 1900 da Sir A. Evans, epoca in cui la concezione prevalente in ambito di restauro ai era la seguente: ricostruire fedelmente quanto andato perduto. Questo doveva avvenire a qualunque costo. Lo spettatore doveva avere la sensazione di essere tornato indietro nel tempo: ecco che allora quei pochi frammenti antichi superstiti vennero inseriti in strutture moderne di cemento e dipinte con i colori supposti per il palazzo originale. In sostanza, le colonne rosse simbolo del famoso sito archeologico, sono novecentesche. Allo stesso modo i dipinti che sono esposti sulle pareti presenti: splendidi delfini, immersi in un mare dall’azzurro sgargiante, non sono altro che copie degli originali. È stato infatti possibile ricreare l’intero disegno grazie a pochissimi frammenti rinvenuti. In questo modo, gli originali non sono danneggiati dagli agenti atmosferici e i turisti possono ammirare il palazzo come doveva presentarsi ai Minoici.
L’effetto complessivo è decisamente suggestivo, anche se si impone una riflessione di più ampio respiro. È giusto chiamare «sito archeologico» un contesto la cui maggior parte è, in realtà, pura finzione? Se fossimo vissuti all’epoca di Sir A. Evans, avremmo risposto di sì. Oggi, tuttavia, la riflessione sulla conservazione e la tutela dei contesti antichi induce ad altre conclusioni. Certamente, da un punto visto della valorizzazione turistica, il palazzo di Cnosso è un ottimo investimento. Il turista medio infatti vede strutture in parte complete ed è in grado di immaginarne altre, ricostruite parzialmente: lo sforzo che gli è richiesto è minimo. Alla fine della visita, grazie alla presenza di strutture visibili, può ricordare qualcosa. Sarebbe molto diverso se, al posto di un colonnato, egli vedesse soltanto le basi delle colonne. Per quanto attento, ricorderebbe pochissimo di quell’esperienza. Lo specialista, invece, si chiede il perché di una scelta così distruttiva, dato che le strutture moderne sono ancorate a frammenti antichi, inevitabilmente danneggiati. Gli unici reperti salvati sono i frammenti degli affreschi, staccati dal sito originale e conservati oggi a Museo di Iraklion. È pertanto questo il luogo in cui ammirare le vere bellezze di Cnosso, per quanto molto frammentarie. Il nuovo allestimento del museo permette inoltre di fruire al meglio dei reperti, restaurati e collocati in uno spazio idoneo.
Quale è, quindi, il modo migliore di valorizzare un sito archeologico? Riportarlo allo splendore originale, con prevalenza del «moderno» per far comprendere l’«antico» o attenersi a quanto rimasto, valorizzandolo con spiegazioni quanto più efficaci?
Ogni scavo e intervento è, in ogni caso, distruttivo per qualunque contesto o manufatto. D’altronde, però, senza di essi non è possibile ampliare le proprie conoscenze. Questo non significa che si possa operare con leggerezza: è sempre necessario essere oculati e prudenti. Meglio intervenire poco e bene, che molto e senza una ratio precisa. «Omnia fert aetas» diceva Vigilio: accettiamolo e impariamo dall’antico ciò che ci può insegnare.