Oggi cominciamo il nostro viaggio al mare e, più precisamente, nel Lazio, presso l’abitato di Santa Severa. Qui, sul tratto di costa e in corrispondenza del promontorio occupato dal Castello di Santa Severa, a partire dal VII sec. a.C. venne fondata Pyrgi, città portuale appartenente a Caere, l’odierna Cerveteri, ed espressione della potenza marittima di quest’ultima. La vita di quest’area non comincia però nel VII sec., ma ben prima, mostrando una frequentazione che risale al Neolitico. In seguito si sviluppa intorno al porto l’insediamento etrusco, frequentato per lo più da naviganti e commercianti greci e fenici: tra l’abitato e la spiaggia inizia a sorgere l’area sacra che diventa rinomata per la presenza del santuario dedicato alle divinità femminili Uni, dea suprema del pantheon etrusco assimilabile alla greca Era, e a Thesan, la greca Leucothea, dea dell’Aurora, depredato nel 384 a.C. dal tiranno di Siracusa, Dionisio il Vecchio. Nel III sec. a.C. si assiste alla romanizzazione del territorio e la Pyrgi romana diventa una città fortificata realizzata sul modello del castrum, ossia dell’accampamento militare. Occupata da lussuose ville, nel II sec. d.C. viene arricchita, sotto l’imperatore Adriano, di un acquedotto.
Ma torniamo al periodo di splendore etrusco e all’area santuariale, tra le più importanti d’Etruria. La costruzione ha inizio alla fine del VI sec. a.C., quando il tiranno di Cerveteri, Thefarie Velianas, avvia la monumentalizzazione dell’area: il primo tempio ad essere costruito è il tempio B, di tipo greco, con un’unica cella, periptero (con la cella circondata da colonne) e scene legate al ciclo di Eracle, mentre nel 470-460 a.C. viene edificato il tempio A, del tipo cosiddetto “tuscanico”, tipicamente etrusco, con tre file di colonne sulla facciata e tre celle.
È il tempio A che oggi esploriamo con più attenzione. Questo viene eretto vicino al tempio B, con orientamento analogo ma decisamente più maestoso, e deve la sua creazione a Caere, la quale, dopo la sconfitta degli Etruschi a Cuma nel 474 a.C., desiderava riaffermare la sua potenza con la costruzione di un tempio grandioso.
Nasce così il tempio A con entrambi i lati corti decorati da frontoni aperti con altorilievi, il più eccezionale e spettacolare dei quali, per composizione e tecnica, è quello posteriore, rappresentante due episodi tratti dal ciclo tebano e, nello specifico, dalla saga dei Sette contro Tebe.
Secondo il mito Eteocle e Polinice, figli di Edipo, avevano deciso di governare su Tebe spartendosi il potere, alternandosi sul trono ogni anno: Eteocle, allo scadere del suo anno, non vuole lasciare il posto al fratello e Polinice dichiara guerra. Sette tra i guerrieri più forti vengono posti a presidio delle sette porte della città, uno dei quali è Polinice stesso, ed Eteocle sceglie altrettanti uomini a difesa di queste, compreso lui stesso, con la consapevolezza che sia lui che il fratello moriranno. Sei delle sette porte resistono, Tebe è salva, ma alla settima porta i due fratelli si uccidono a vicenda.
Nello specifico, sull’altorilievo del 470 a.C. vengono rappresentati gli scontri tra Melanippo e Tideo e quello tra Polifonte e Capaneo (nelle due coppie il primo eroe di Eteocle e il secondo di Polinice). Tideo, secondo una versione, ferito a morte da Melanippo, da lui ucciso, diede l’ordine di mozzare la testa del nemico, se la fece portare, la tagliò in due e si mise a divorarla furiosamente mentre, secondo un’altra, lo colpì alle spalle e divorò: la dea Atena, protettrice dell’eroe Tideo, giunta per somministrargli una bevanda per renderlo immortale, rimase così inorridita che lo lasciò morire. Capaneo, invece, nella vicenda di Tebe, fu il primo a scalare le mura della città e, superbo oltre ogni misura, sfidò gli dèi a contrastarlo: infuriato, Zeus si sostituì a Polifonte e lo fulminò in battaglia.
Ecco quindi introdotto il celebre altorilievo in terracotta, il quale presenta, sulla sinistra, la figura della dea Atena che, con la bevanda immortale, assiste inorridita all’azione sacrilega di Tideo (qui colpisce alle spalle Melanippo, attaccandogli la testa), ritraendosi, e, al centro, Zeus che scaglia un fulmine contro Capaneo, sostituendosi a Polifonte.
In stile tardo-arcaico l’altorilievo conserva tracce di colore e incombe dall’alto sulla via Caere-Pyrgi, in prossimità dell’ingresso al santuario.
È questa la prima volta che su un frontone etrusco viene rappresentato un episodio tratto dal mito dei Sette contro Tebe e questo rivela una profonda conoscenza della mitologia greca da parte dei committenti oltre che un’intensa religiosità. Non dobbiamo, infatti, sottovalutare nel periodo l’assimilazione da parte degli Etruschi della spiritualità greca, assimilata dai locali senza giungere alla piena ellenizzazione: proprio il mito tebano dei Sette contro Tebe viene particolarmente recepito, esplicandosi nella rappresentazione, per lo più, delle figure di Tideo e Capaneo.
Incombendo sui visitatori del santuario provenienti da Caere, le figure di Tideo e Capaneo diventano un monito per tutti, il simbolo dell’uomo che smarrisce il senso della misura, che pecca di arroganza (la hybris) e vuole competere con gli dèi, i quali, nei panni qui di Atena e Zeus, li puniscono abbandonandoli alla morte.
Allo stesso tempo i due eroi rappresentano i tiranni che si macchiano di hybris, la loro punizione e, di contro, l’esaltazione dei valori della città.
Un tempo maestoso sulla sommità del lato posteriore del tempio A, oggi l’altorilievo ricostruito si può ammirare al Museo di Villa Giulia: la potenza del messaggio resta invariata e tutti restiamo colpiti dalla grandezza della civiltà che ha commissionato una tale opera e dall’orrore del destino dell’uomo arrogante.