In Grecia, prima dell’affacciarsi dello stile arcaico di VI sec. a.C. in cui l’arte greca si delinea sempre di più fornendo molteplici testimonianze nel campo dell’architettura e della produzione figurativa, il VII sec. a.C. si caratterizza per uno stile cosiddetto “orientalizzante”. Nei primi decenni l’arte risente ancora delle caratteristiche del periodo precedente, definendosi come post-geometrica e realizzando piccole figure votive in bronzo, pietra e avorio, dalle forme appunto geometriche, senza mostrare alcun interesse per la resa anatomica realistica. Un cambiamento si comincia a delineare nel pieno del secolo quando, con la scultura egizia come modello di riferimento, iniziano a comparire le prime statue monumentali realizzate in calcare, chiamate xoana (statue di culto e offerte votive, per lo più femminili, che rappresentano la divinità stessa o l’offerente) e gli sphyrelata (di non piccole dimensioni, composti da un’anima di legno e rivestimento in sottile lamina metallica).
È a Creta, riconosciuta come luogo di nascita della scultura monumentale greca in pietra, che, nel pieno del VII sec., si sviluppa un linguaggio plastico chiamato “stile dedalico”, stile che prende il suo nome dalla mitica figura di Dedalo, originario dell’isola, architetto, ideatore del famoso labirinto, costruttore di templi e scultore di statue: la vita e le vicende di “colui che ben modella” ne fanno una figura quasi reale, ma il Dedalo storico non è mai esistito e riassume in sé “solo” la figura dell’artista, una figura che, con la comparsa di statue di grandi dimensioni, comincia sempre più a delinearsi, una figura che lascia la propria firma sulle sue opere, mostrando al contempo orgoglio per le proprie creazioni e attenzione per le regole che iniziano a imporsi e i desideri del committente.
Avviciniamoci a questo stile dedalico a Creta e ammiriamo una delle sue più riuscite e note manifestazioni, la Dama di Auxerre.
Questa rientra nella produzione delle xoana, le statue monumentali in calcare. In calcare conchiglifero, è a tutto tondo, di dimensioni notevoli ma inferiori al vero (65 cm. circa) ed è conservata al Museo del Louvre. Forse originaria di Eleutherna, ma comunque in territorio cretese, fu acquistata nel 1895 da un impresario teatrale di Auxerre che la cedette al museo locale; ritrovata poi nel deposito del museo dall’archeologo e curatore del Louvre, Maxime Collignon, venne riconosciuta come reperto di arte greca arcaica ed esposta al Louvre. Attribuita in seguito alla scuola dedalica cretese, viene datata intorno al 640-630 a.C.
Accostiamoci ancora di più a questo esemplare destinato a divenire un vero e proprio modello iconografico per l’arte arcaica di VI sec. a.C.
A figura intera, stante, è raffigurata una fanciulla avvolta da un peplo aderente chiuso da un’alta cintura che sottolinea la sottigliezza della vita e con le spalle coperte da una corta mantellina (himation). I capelli, lunghi fino alle spalle, sono disposti in folte trecce spartite simmetricamente ai lati del volto, con una corta frangia a riccioli, entrambe caratteristiche che richiamano le ricche parrucche di foggia orientale, specialmente egiziana. Nel volto, trapezoidale e arrotondato in corrispondenza del mento, si stagliano grandi occhi ipnotici, di forma allungata, e una bocca larga che si apre in un sorriso, accentuando la mobilità e l’intensità dell’espressione. I seni sono pieni e rotondi, il braccio destro è portato al petto mentre quello sinistro è disteso lungo il fianco. I piedi nudi giunti e grandi, le mani altrettanto grandi, la vita estremamente sottile che richiama le sculture minoiche, la testa più grande rispetto al corpo e la generale sensazione che il corpo sia costituito da cilindri denotano una rappresentazione non ancora pienamente realistica delle figure umane, ma un secondo passo verso quella direzione. Ad eccezione del braccio sinistro, la statua risulta simmetrica e profondamente statica, mentre, sulla lunga veste, nella parte inferiore, risaltano un disegno geometrico a quadrati concentrici, reso con sottili incisioni, ripetuto su tutta la sua lunghezza, e delle tracce di colore rosso, segno che in origine fosse decorata in più colori.
La giovane donna, dalle forme arrotondate, appare austera, nonostante il sorriso accennato, e sembrerebbe rappresentare un’aristocratica colta nella posizione dell’offerente, con questa mano portata al petto, in segno di preghiera della divinità.
Il gesto di adorazione suggerito dalla mano sembrerebbe confermare la natura votiva della statua, dedicata da una fedele a una divinità affinché quest’ultima si ricordi di lei e la protegga, ma l’identificazione non è certa e ad essere rappresentata potrebbe anche essere la divinità stessa.
Chiunque la statua voglia rappresentare, divinità o aristocratica offerente, la raffigurazione della fanciulla nel gesto della preghiera è destinata a diventare un vero e proprio modello nel secolo seguente: il VI sec. a.C., l’età arcaica, segna la diffusione della tipologia dei kouroi (“giovani”), fanciulli stanti con un piede che avanza, ideale di bellezza aristocratica, e di quelle che in questo caso più ci interessano, le korai (“fanciulle”), ragazze sedute o in piedi con una mano portata al petto.
Giovani uomini e giovani donne, simboli sia sacrificali sia votivi, i primi con un iniziale accenno di movimento, le seconde statiche, entrambi ex-voto ad un dio, per grazia ricevuta o da ricevere: guardiani del luogo sacro o segnacoli per le tombe.
Riconosciuta come l’esempio più grande e significativo dello stile dedalico la nostra Dama di Auxerre, con il suo calmo sorriso, preludio del “sorriso arcaico”, le sue forme piene e la sua compostezza, ci osserva e nei suoi grandi occhi sereni ci pare quasi di cogliere gli sviluppi dell’arte greca che verrà.