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Acheloo nella Villa dell’Auditorium a Roma: il dio fluviale temuto e venerato


Acheloo, un’affascinante figura della mitologia greca, trattata in molti miti ma non molto conosciuta al giorno d’oggi, è un dio fluviale, figlio di Oceano e Teti mentre, secondo altre tradizioni, figlio della Terra stessa, Gea.

Protettore delle acque, padre delle sorgenti, delle ninfe e delle sirene, con Eracle viene a scontrarsi per la mano di Deianira. Questo tema è da interpretarsi per Strabone come metafora dell’opposizione tra l’agricoltore (Eracle) e la forza indomabile delle acque (Acheloo): l’agricoltore/Eracle è colui che risulta vincitore dallo scontro, colui che imbriglia il fiume/Acheloo, sconfiggendolo in tutte le sue forme (quella del serpente, simbolo della tortuosità del suo corso, e quella del toro e dell’uomo con testa taurina, simbolo di distruzione) e il corno strappato al dio, in segno di vittoria, viene a riempirsi dei fiori e dei frutti prodotti dalle pianure non più minacciate dall’incostanza delle acque.

Né le Metamorfosi di Ovidio, invece, lo scontro tra Eracle e il dio viene descritto con altri toni e i tentativi del dio di sconfiggere l’eroe mutando tre volte la propria forma sono narrati con grande partecipazione da parte dello scrittore: Acheloo, sconfitto, umiliato e con il corno e il cuore spezzati, si rifugia nel fiume Toante, che prese poi il suo nome, e richiede ad Eracle il suo corno che, colmato di frutti e fiori dalle Naiadi, diventa anche qui la Cornucopia dell’Abbondanza.



Acheloo ha grande fortuna a Roma in età repubblicana e imperiale, venerato come dio fluviale, il protettore e lo sconfitto da Eracle e un caso particolare in cui viene raffigurato, dimostrazione della presenza di un suo culto, è costituito dalla tegola angolare con la sua maschera nella Villa dell’Auditorium.

La Villa si trova nel suburbio di Roma, dai suoi ritrovamenti risulta essere stata occupata dal VI sec. a.C. agli inizi del III sec. d.C., ed è possibile individuare sei periodi in cui l’edificio rimane sempre caratterizzato dalla presenza di ambienti produttivi e residenziali, con la conseguente interpretazione di luogo privato.

Il primo periodo va dal 550 al 500 a.C. ed è costituito da un edificio quadrato di 300 mq. con file di ambienti residenziali e di servizio attorno ad una corte (“Fattoria”), il quale nel secondo (500-300 a.C.) subisce una monumentalizzazione, arrivando ad occupare 700 mq., con una suddivisione in area signorile e di servizio (“prima villa”) e, annesso, un altro corpo per l’alloggiamento dei servi con zone di produzione. Nel terzo periodo (“villa dell’Acheloo”), dal 300 al 225 a.C., l’area è protagonista di una grande ristrutturazione e dai ritrovamenti è visibile la presenza di un culto domestico: un piccolo ambiente a est della villa viene monumentalizzato e diventa un tempietto a due celle con pronao. Del 225-150 a.C. (“villa ad atrio”) è un notevole intervento edilizio, vengono scavate trincee di fondazione, riempite dei materiali delle fasi precedenti e la villa diventa ad atrio.


 


 

Negli ultimi due periodi, dal 150 all’80 a.C. (“villa ad atrio”) e dall’80 a.C. al 150 d.C. (“l’ultima villa”), vi sono poche modifiche nell’area, abitata fino agli inizi del III sec. d.C., abbandonata progressivamente e sepolta sotto strati alluvionali.

Del terzo periodo è il ritrovamento, in una fossa di III sec. scavata nella parte nord della corte della zona residenziale, di una tegola angolare di gronda con protome di Acheloo: la cura usata nella sepoltura di questo elemento è indice dell’importanza del dio nella villa.

Quale il motivo di questa importanza?

La Stazzulla collega Acheloo alla fonte delle ninfe di Anna Perenna di Piazza Euclide, La Rocca lo vede come richiamo alle frequenti inondazioni del vicino Tevere, per Carandini è un’allusione al genius del Tevere, la Di Giuseppe accenna ad un legame con l’attività di bonifica nell’area della villa soggetta a inondazioni proprio nel periodo di fabbricazione della tegola.


Quella della Di Giuseppe sembrerebbe, a mio parere, l’ipotesi più plausibile e la tegola rappresenterebbe il dio domato dai vari interventi di bonifica: posta la tegola con funzione apotropaica e deposta poi “pietosamente” nell’atrio, la figura di Acheloo, insieme a quella di Eracle, potrebbe essere stata venerata nella villa stessa.

Realizzata “come forma di risarcimento al dio violato” la tegola risale al 300 a.C. circa e presenta un’altezza di 38 cm. e una larghezza massima di 27 cm. Di impasto fine beige/rosa aranciato, con inclusi neri e rossi, è a doppio spiovente e di forma quadrangolare, con un’aletta e le acque che defluiscono da un foro sulla carena, sopra la quale è presente la protome di un uomo-toro, con dietro una maniglia che la collega alla tegola. Il dio Acheloo ha un volto da uomo maturo e le orecchie e le corna da toro: ha una folta capigliatura di ricci disposti simmetricamente, barba e baffi, una fronte liscia, naso regolare e sottile, labbra piccole e carnose, occhi abbassati agli angoli esterni e con palpebre spesse, con iride e pupilla incisi. È proprio questa resa degli occhi che conferisce al dio un’espressione malinconica, accentuata dalla presenza di un solo corno, il sinistro: il destro non compare e la sua rottura appare troppo regolare per essere frutto di una rottura casuale o voluta con la sua deposizione. Tutto contribuisce a sottolineare il patetismo, da un occhio più aperto dell’altro, alle orecchie asimmetriche, alla posizione sofferente delle labbra, fino al corno spezzato, ricordo della sconfitta.

Esemplare raro e particolare per la sua sepoltura in fossa, tanto da dare il suo nome a una fase della villa, Acheloo viene temuto e venerato e, con il suo aspetto sempre più patetico, diventa lo sconfitto per eccellenza, rivelando la sua parte più umana e debole di figura disprezzata dalla sua amata Deianira e necessariamente da domare da Eracle e dall’uomo in generale.

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