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Il sarcofago con Peter Pan e la sua ombra, ovvero il “Sarcofago Fortunati”


Ebbene sì, avete letto bene.

Nel sarcofago che oggi andremo a trattare, particolare e unico nel suo genere, davanti ai nostri occhi vengono a presentarsi due metà di una stessa persona, un defunto e il suo doppio, quasi come “il bambino che non voleva diventare grande” e la sua ombra, diversa e allo stesso tempo uguale a lui.

Conosciuto come il “Sarcofago Fortunati”, così chiamato dopo la scoperta, risale al III sec. d.C., più specificamente al 210-220 d.C., nel pieno dell’arco di tempo più prolifico per quanto riguarda la produzione dei sarcofagi, collocabile tra la metà del II e la metà del IV d.C. Proviene da Via Latina, Roma, si può ammirare nel Museo Nazionale Romano (Museo delle Terme), dove è conservato e, nonostante misuri solo 99 cm. di lunghezza, risulta molto dettagliato e davvero stupefacente.

Sotto un coperchio decorato con pannelli con sei maschere teatrali frontali, Amorini e una tabula vuota al centro che, forse, aveva un’iscrizione dipinta, la faccia principale della cassa presenta la scena principale, presa da quelle di lutto e delimitata da due grandi teste di leone, tra cui danzano Amorini: troviamo un ragazzo sdraiato sul kline, con sotto il corpo senza vita di un fanciullo nudo e sdraiato e, attorno, figure interpretate come le Muse (tre che compiono gesti di sorpresa e pena sulla sinistra e altre tre, di cui una seduta, con i volti tranquilli, identificate con le Parche). Sotto le due teste di leone, a sinistra, vi sono la lupa capitolina (simbolo, forse, dell’eternità) e una scena di lectio, di lettura con un fanciullo, il defunto stesso, che legge e un maestro barbato vestito alla greca con un himation, mentre, a destra, Cerbero (simbolo del mondo dell’Oltretomba) e la scena del primo bagno al bambino.



Quello che la scena rappresenta è il defunto sul letto che, per le vesti, ossia chitone e palla (un mantello con un lembo che viene tirato sul capo), viene da Cumont considerato la nona Musa, nonostante presenti un volto con ritratto e sempre il defunto sotto il letto: il fanciullo come Musa è quello che è diventato dopo la morte, mentre, quello nudo e scomposto sotto il letto, senza neanche un volto, è la spoglia mortale che viene lasciata e che perde importanza.

Traspare qui il dolore dei genitori che hanno visto morire prematuramente il figlio amato e che cercano di trovare una consolazione alla perdita, ricordando i momenti della sua crescita, come l’insegnamento e il primo bagnetto (accompagnato da Cerbero, il cane infernale, segno della morte che lo coglierà presto), e immaginandolo felice nella cerchia delle Muse.

Una raffigurazione consolatoria, in cui i gesti di lutto dei presenti si trasformano in gesti di stupore.

Ma il fanciullo sul kline non è necessariamente considerabile come la nona Musa dato che, da un lato, non tutte le figure femminili possono essere considerate come tali e, dall’altro, la tematica parrebbe più consona per una fanciulla. Wegner, infatti, considera il fanciullo sul letto il ragazzo morto e quello sotto solo il suo corpo.


 


 

Mentre la figura sopra il kline ben definita e col volto inciso del defunto può essere considerata come la psiche stessa e la stessa redenzione dell’anima, il soma, il corpo, che questa indica, scomposto, nudo e privo di caratteri specifici sul volto, può essere inteso, come suggerito da Sichtermann, come la personificazione del corpo umano che attende con nostalgia il momento della rinascita, quando, cioè, si unirà alla stessa psiche, e risulta puramente simbolico e senza il minimo dettaglio per suggerire qualsiasi cambiamento fisiologico successivo a questa unione .

Lo spirito del piccolo defunto (così si può considerare) indica con la mano il corpo steso sotto il suo letto, da intendere come il suo corpo senza vita (tema piuttosto raro e presente solo su questo sarcofago e su alcuni raffiguranti il mito di Prometeo), lasciato sulla terra a essere compianto e senza più importanza poiché semplicemente temporaneo ma notiamo anche la presenza di un volto sbozzato.

Per quale motivo questo volto?

Assenza di cura da parte dello scultore o modo per far vedere che l’anima, quella sul kline, è fuggita dal corpo morto e senza volto, così privo dell’essenza vitale?

L’ipotesi, rappresentando il morto due volte, è che si volesse far capire all’osservatore, consolandolo, che dopo la morte il corpo e i dettagli stessi non hanno più importanza e che quello che conta è solo l’anima come spirito, ossia il fanciullo rappresentato con le vesti e l’acconciatura di una Musa, in un paragone tra due raffigurazioni della stessa “persona” : da un lato il corpo e dall’altro lo spirito, in una loro separazione e conferma dell’importanza del secondo rispetto al primo (concetto che poi forse si potrà applicare anche ai casi di sarcofagi cristiani per la loro concezione della morte e dell’anima).

La posizione stranamente scomposta della figura sotto il letto, potrebbe, inoltre, indicare una tragica morte per incidente, che rende ancora più netta la lontananza dal vero Io del fanciullo.

E, all’interno della scena, la madre, probabilmente individuabile nel terzetto di sinistra, nel ricordo dell’adorato figlio, viene colta mentre si lamenta, non della liberazione dell’anima di suo figlio, ma del suo corpo senza vita, rimasto sulla terra.

Il sarcofago per un figlio amato che non invecchierà mai.

Il sarcofago per un Peter Pan che non diventerà mai grande.


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