Le Sirene, sedendo in un bel prato,
Mandano un canto dalle argute labbra,
Che alletta il passeggier: ma non lontano
D’ossa d’umani putrefatti corpi,
E di pelli marcite, un monte s’alza.
Tu veloce oltrepassa, e con mollita
Cera de’ tuoi così l’orecchio tura,
Che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu, se vuoi; sol che diritto
Te della nave all’albero i compagni
Leghino, e i piedi stringanti, e le mani:
Perchè il diletto di sentir la voce
Delle Sirene tu non perda.
Sono queste le parole che, secondo Omero, la maga Circe nel XII libro dell’Odissea rivolge a Odisseo che si appresta a lasciare la sua isola e a proseguire il suo viaggio verso l’amata Itaca: è un monito che il nostro pellegrino seguirà e una scena che ritroviamo come decorazione nella ceramica attica, come esempio dell’uomo curioso e avido di esperienze che, grazie alla sua astuzia, riesce ad uscire indenne e arricchito dai mille pericoli che la vita e gli dèi gli pongono innanzi.
L’esemplare che qui ci interessa porta il nome di “The Siren Vase” e viene attribuito al cosiddetto “Pittore delle Sirene”, ceramografo attico che operò nei primi 25 anni del V sec. a.C., il cui nome e le date di nascita e morte sono sconosciute, il che deve la sua denominazione a una delle tre opere che gli sono state attribuite, un vaso appunto che rappresenta la scena descritta dallo stesso Omero. Le sue tre creazioni sono molto diverse tra loro per tema, composizione e sensazioni trasmesse (in una i protagonisti sono Eracle e Apollo che lottano per il possesso del tripode delfico), ma andiamo ora ad analizzare il vaso di cui porta il nome.
Si tratta di uno stàmnos (un contenitore per liquidi) attico a figure rosse, realizzato in Attica, ritrovato a Vulci, esposto ora al British Museum di Londra e risalente al decennio tra il 480 e il 470 a.C., periodo in cui l’artista era presumibilmente attivo ad Atene.
Eseguito con maestria e attenzione ai dettagli, il lato A del contenitore, quello principale, raffigura il tema principale, ossia il superamento della nave di Odisseo, con l’eroe legato all’albero maestro, dell’isola delle Sirene, pericolosissime donne-uccello che incantavano i marinai con il loro canto per poi ucciderli.
Osserviamo meglio. Il mare viene rappresentato come uno stretto spazio in primo piano, con un profilo ondulato e ombreggiato di nero, a ricreare i riflessi della luce sulle onde. Sopra la nave di Odisseo procede spedita verso sinistra spinta da remi, di cui sei sono visibili sul lato sinistro con le teste e le spalle dei rispettivi rematori, 4 invece di 6, barbuti e visibili al di sopra del parapetto: il secondo e il quinto non appaiono e un settimo posto appare vuoto e non occupato dal remo. Sul sedile a poppa, in alto, siede tra due remi di sterzo il timoniere che, rivolto verso i rematori, con la mano sinistra guida e con la destra, stesa, sembra stia incoraggiando i compagni, con la bocca aperta a gridare loro qualcosa: barbuto anche lui indossa un himation che lo avvolge nella parte inferiore del corpo. Passando alla parte anteriore dello scafo, questa prende la forma di un muso di cinghiale con un grande occhio di forma arcaica dipinto di nero e sopra vi è una piattaforma con longaroni incrociati che raggiungono l’albero maestro, sulla cima del quale la vela è in posizione obliqua rispetto alla chiglia, è tenuta in posizione da due funi legate a poppa e a prua e attaccata al ponte da varie corde. Legato all’albero da funi con le braccia dietro la schiena, volto verso la poppa, il nostro Odisseo, barbuto e nudo, a mostrare il corpo possente da eroe, getta la testa all’indietro e guarda le Sirene. Le Sirene, uccelli con la testa di donna, i capelli legati e una treccia al lato di un orecchio, le bocche aperte come se cantassero, circondano la nave e sono tre: una è su un promontorio roccioso a sinistra e agita le ali, una è ferma sul promontorio a destra e la terza si getta a capofitto giù dalla scogliera, con gli occhi chiusi come se fosse morta.
Sul lato B è invece rappresentato il volo sulle acque di un trio di Eroti che potrebbe rappresentare le emozioni dello stesso Odisseo incatenato alla nave e insidiato dal canto delle Sirene.
Ma perché avventurarci nell’analisi di questo interessante stàmnos??
Per via di un freschissimo ritrovamento avvenuto nei giorni scorsi sui fondali del Mar Nero: una nave praticamente intatta, lunga 23 metri ed estremamente simile alla nave di Ulisse rappresentata sul vaso appena descritto!
Scoperta da un team di archeologi britannici, guidati da Joe Adams, nell’ambito di un programma di ricerca sottomarino denominato Black Sea Maritime Archaeology Project, secondo alcuni studiosi questa sarebbe la nave più antica del mondo mai ritrovata, di ben 2400 anni, usata per i commerci ed originaria della Grecia classica.
Individuata a circa 2000 metri sotto il livello del mare, completa di albero, timone e postazioni per gli addetti ai remi, ben conservata grazie alla mancanza di ossigeno a questa profondità e al fatto che il Mar Nero sia un bacino chiuso, la sua datazione appare confermata dalle analisi al carbonio 14.
La nave di Ulisse è destinata a rimanere per ora sul fondale marino, un suo spostamento in superficie rischierebbe di distruggerla, e chissà che in futuro con nuove tecnologie non si possa compiere questo passo.
Ma la poesia della sua somiglianza con la nave dell’eroe omerico rappresentata sul vaso del Pittore delle Sirene rimane intatta.