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Emozione Arte

La «ricchezza» della semplicità: il villaggio di Deir el Medina


Quando pensiamo agli antichi Egizi ci vengono in mente subito le Piramidi. Poi ci ricordiamo che esiste la «Valle dei Re», luogo del riposo eterno di molti faraoni. La grande civiltà nilotica, tuttavia, non è soltanto questo. Spesso ci dimentichiamo che dietro alle grandi opere ci sono ore e ore di lavoro e fatica. Fronti madide di sudore sotto il sole cocente, poca acqua. E ci sono gli uomini. Ma chi erano questi misteriosi lavoratori e dove vivevano? Molti credono fossero schiavi, maltrattati dal faraone che tiranneggiava e li sfruttava per dare sfogo al suo ego smisurato. Niente di più sbagliato. Nei primi anni del ‘900 è stata compiuta una scoperta che ha illuminato le menti degli studiosi sulla vita reale di queste persone. Il sito di Deir el-Medina, situato poco lontano dall’odierna Luxor, era il luogo in cui hanno abitato gli operai addetti alla decorazione delle tombe della Valle dei Re e delle Regine. Il villaggio fu fondato da Amenhotep I e dalla madre Ahmes Nefertari, entrambi in seguito divinizzati e inclusi nei culti locali. La popolazione era composta, durante il nuovo regno, da 120 famiglie, le quali si dedicavano principalmente alla costruzione delle tombe e alla creazione delle pitture. Oltre a queste vi erano anche tutte quelle mansioni quotidiane indispensabili, come cucinare, lavare i panni, costruire e riparare gli utensili e gli strumenti di lavoro… Qualora il regno di un faraone fosse stato particolarmente lungo, i lavoratori potevano dedicarsi anche ai propri luoghi di sepoltura o a quelli dei personaggi eminenti del luogo, guadagnando un salario in più. Con lo stesso scopo, potevano confezionare oggetti come sandali o vasellame, utile per i corredi.



Come si svolgeva il lavoro? Una volta che un nuovo sovrano veniva incoronato, il visir si recava sul posto per decidere dove costruire la nuova tomba. Egli era assistito da due capi locali, il capo della squadra di destra e il capo della squadra di sinistra, responsabili delle diverse suddivisioni degli operai. Costoro iniziavano poi a lavorare, scavando la roccia. Gli strumenti usati erano tutti forniti dallo stato che si assicurava anche di sostituirli quando divenuti inutilizzabili. La settimana lavorativa era di 10 giorni, di cui 8 di lavoro e due di riposo. Ogni giorno si lavorava per 8 ore, quattro al mattino e quattro al pomeriggio. Era possibile assentarsi per motivi religiosi o personali, come malattie, punture di insetti o morsi di serpenti e scorpioni.

Quello che stupisce di questo villaggio è l’alto livello di alfabetizzazione e cultura, necessaria per decorare efficacemente le tombe. Di questo aspetto è esemplificativo il famoso Ostrakon con la ballerina conservato al Museo Egizio di Torino. Sebbene sia un semplice esercizio fatto da un pittore del luogo, colpisce la fluidità del movimento della figura. Sembra che la ragazza sia pronta a staccarsi dal coccio da un momento all’altro.

Questi sono soltanto alcuni spunti su un sito archeologico molto articolato e complesso, in grado di aprire nuovi scorci sul passato “quotidiano”, grazie alla ricerca costante. Troppo spesso, infatti, ci dimentichiamo che anche gli antichi erano uomini, come noi. A ragione possiamo citare Barry Kemp, secondo il quale «The search for variation within the broad regularities of human life is an essential part of understanding the complete spectrum of human behaviour».

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