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Dallo Zeus di Ugento al Poseidone di Capo Artemision: alla conquista dello spazio


“Ed ora anche la roccia…però sembra pietra, una pietra quadrata, regolare, curiosa! Chiamo gli altri è troppo grande per poterlo spostare da solo…la fatica di tre persone è appena sufficiente per toglierlo, con grande meraviglia sotto questo blocco si apre una buca…grande quanto il coperchio che la proteggeva…che strano!! Scendo nella cavità rocciosa…non mi crederebbe nessuno se non fossero con me altre persone a testimoniarlo…ma….nascosto all’interno c’è qualcosa!! Che buffo che è!!! Nù PUPU.(IL PUPO)…”

Siamo nel 1961, vicino Taranto, ed è così che inizia la scoperta di un piccolo capolavoro della bronzistica magnogreca, il cosiddetto Zeus di Ugento. L’incredibile rinvenimento avviene appunto ad Ugento durante lo scavo per le fondazioni di una veranda: scavando si incontra con sorpresa prima un capitello di ordine dorico, calcareo, decorato a rosette, posto come copertura di una buca e, sotto, occultata, una statuina priva di una gamba e della mano destra, in seguito ritrovate. Giudicata non bella e per lo più emanante un cattivo odore dovuto ai rifiuti organici riversati dalle abitazioni vicine viene giudicata priva di importanza, ceduta al progettista della veranda e solo in un secondo tempo diventa fonte di interesse da parte della Soprintendenza.

Identificata in un primo momento come un Poseidone, a seguito del ritrovamento del braccio mancante recante un fulmine e non un tridente, la divinità viene alfine riconosciuta come il padre degli dèi, Zeus: da bruttina e da alcuni ritenuta un falso “il pupo”, la piccola statua alta 71.8 cm inizia ad avere attenzione, ad affermare la propria importanza e si presenta come un mirabile esempio della tecnica della fusione a cera persa eseguito in loco da artisti tarentini sulla scia delle produzioni greche.



Occultata volontariamente dal capitello su cui originariamente doveva poggiare, la statuina coglie il dio Zeus nell’atto di incedere impetuosamente, con la gamba sinistra avanzata, la destra portata indietro con il tallone alzato, la mano destra, alla fine di un braccio non steso, a lanciare un fulmine di cui rimangono le tracce e la sinistra a mostrare un attributo non pervenuto, probabilmente un’aquila; il dio è completamente nudo e presenta un’acconciatura curata ed elaborata, cinta da un diadema e da una corona di foglie, con le rosette sul diadema e i quattro lunghi boccoli che scendono sulle spalle modellati e colati a parte e in seguito saldati.


Il contesto non ci aiuta a trovare una datazione ma lo stile in cui l’opera è eseguita ci porta agli anni tra il 530 e il 520 a.C.: sorriso arcaico, cosce possenti e muscoli addominali ripartiti geometricamente, il peso ancora ripartito rigidamente su entrambe le gambe…La statua non si muove in maniera autonoma, non è ancora ben inserita nello spazio, il problema del corpo in movimento non è ancora stato risolto e ad essere rappresentata è solo l’idea, ma è già possibile vedere una prima incredibile padronanza della tecnica della fusione a cera persa.

È un primo saggio delle possibilità offerte dal bronzo e…vogliamo vedere a cosa queste prime sperimentazioni porteranno nel 460 a.C., in pieno stile severo?

Voliamo allora al Museo Archeologico di Atene dove possiamo ammirare una statua bronzea conosciuta con il nome di Poseidone di Capo Artemision, in quanto la sua scoperta è avvenuta in mare, al largo dell’Eubea. Notiamo subito che la tecnica della colata nelle statue cave ha compiuto dei passi avanti portando alla realizzazione di statue a grandezza naturale in movimento: il bronzo infatti non necessita di puntelli come il marmo e permette la sperimentazione di pose più ardite ed articolate.


Alto ben 2.09 m il dio del mare (o Zeus, per altri) domina lo spazio con sicurezza e viene raffigurato nell’attimo in cui sta per scagliare il suo tridente, a noi non giunto: l’attributo doveva essere bilanciato nella mano destra, il braccio sinistro proteso in avanti per prendere la mira, il peso tutto sulla gamba sinistra avanzata e la destra libera e con solo la punta del piede che tocca il suolo.

Sempre completamente nudo Poseidone esegue, a causa del lancio che sta per compiere, una torsione del busto, la quale segue la spinta della gamba sinistra portante con conseguente curvatura verso sinistra della linea alba. Sguardo intenso (negli occhi si presume ci fossero inserti in avorio), i riccioli dei capelli e della folta barba finemente cesellati e il sorriso arcaico non più presente, Poseidone con le gambe in una posa aperta, a chiasmo, sonda lo spazio, si muove con maggiore sicurezza in questo e finisce per dominarlo sempre di più. La visione di tipo frontale rimane prevalente, ma la statua viene comunque concepita per essere vista da tutti i lati: non doveva quindi essere una statua di culto, bensì un’offerta collocata a cielo aperto.

Il cammino alla conquista dello spazio è ancora lungo e tortuoso ma dal 530 al 460 a.C. quanto già sta cambiando e quanto il movimento appare già come il vero protagonista delle composizioni!


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