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Pittori per un giorno: come dipingevano gli antichi romani le pareti?


Quando pensiamo alle pareti dipinte dagli antichi romani il nostro pensiero va inevitabilmente agli splendidi affreschi che si possono ammirare nelle domus della meravigliosa Pompei, la città che, a seguito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. ci ha lasciato testimonianze rilevanti anche per quanto riguarda la pittura. La Casa del Fauno, la casa dei Ceii, la casa di Menandro, la casa di Orfeo…

Ma come realizzavano gli artisti romani queste opere? In cosa consisteva la tecnica della decorazione dipinta?

Prima di esplorare questa tecnica diamo un’occhiata alla superficie su cui l’affresco veniva realizzato.

Nelle costruzioni l’uso intensivo della muratura porta i romani alla scelta di rivestire le pareti con intonaci destinati in primis a proteggere le strutture portanti e in secundis a decorarle. La presenza degli intonaci, preparati con vari strati di malta (la combinazione di calce mescolata ad aggregati, quali sabbia e pozzolana) è accertata in Campania fin dal III sec. a.C. e alcuni esempi pompeiani attestano la buona qualità di tali rivestimenti: il sistema di applicazione a Pompei subisce qualche variante ma nel complesso rimane pressoché immutato.

Da quello che ci dice l’architetto Vitruvio nel suo approfondito De architectura l’intonaco di buona qualità doveva essere formato da ben 7 strati di cui uno più grossolano, tre di malta e sabbia e tre di malta mista a polvere di marmo mentre Plinio ne raccomanda 5 (tre di malta e sabbia e due di calce e marmo). Nonostante le precise indicazioni dei due autori i rivestimenti esterni che effettivamente si trovano sono solo tre: il primo aderisce direttamente alla struttura muraria in mattoni o pietre, è spesso circa 3-5 cm, è uno strato di intonaco composto da calce e sabbia che mantiene una certa granulosità e a volte contiene frammenti ceramici o di marmo; il secondo strato invece, spesso 2-4 cm, è costituito da una malta di sabbia più fine e la sua superficie, a differenza di quella del primo, viene levigata per permettere la posa del terzo e ultimo strato; il terzo ed ultimo, più accurato e di 1-2 mm, è costituito da calce pura lisciata accuratamente e, nel caso della malta, la sabbia e gli inclusi al suo interno venivano raffinati il più possibile.



Quello che dunque si presenta ai nostri occhi alla fine dell’applicazione dei vari strati di intonaco è una superficie liscia che poteva essere lasciata a nudo, conservando il suo colore naturale, oppure decorata.

Ed eccoci tornati alla nostra domanda iniziale: come si procede alla decorazione dipinta?

Cominciamo col dire che i muri che dovevano essere decorati con pitture non venivano rivestiti di intonaco alla stessa maniera di quelli che venivano lasciti a nudo ma, anzi, la preparazione della parete risulta più minuziosa, mentre le fasi restano al contempo le stesse.

Quello che si viene ad apporre sulla parete viene definito “affresco” ed è uno dei sistemi più usati per assicurare alle pitture murarie una lunghissima durata: il procedimento usato dagli artisti romani consiste nel porre i colori sullo strato di malta di calce prima che la presa di questa sia conclusa e lo strato sia asciutto. Questo, dopo il completamento della presa, permette ai pigmenti di colore sulla parete di rimanere sigillati nella pellicola superficiale di carbonato di calcio, prodotta dalla reazione dell’intonaco e dell’anidride carbonica entrata in contatto con la calce.

È quindi necessario che il pittore possa lavorare su uno strato di intonaco ancora fresco e che il lavoro venga svolto in fretta in maniera tale che a strato asciutto la sua decorazione sigillata tenga per sempre. Anche Vitruvio (VII, 3) a riguardo conferma che “riguardo ai colori, accuratamente applicati sull’intonaco umido, essi non si staccheranno mai, ma resteranno per sempre”.


Si procede quindi per piccole fasce dall’alto verso il basso, in maniera tale che da un lato il pittore abbia una superficie d’intonaco fresco limitato su cui lavorare e dall’altro che, finita una parte, andando a scendere non rischi di sporcare il lavoro appena terminato. Il procedimento a fasce richiede però un’estrema abilità per rendere il più invisibili possibile i punti di raccordo: nonostante la cura a volte si notavano delle sottili fessure e i pittori, per cercare di evitare ciò, cercavano di far coincidere la conclusione del loro lavoro giornaliero con una fascia orizzontale che separava due zone decorative.

In altri casi la decorazione avviene a posteriori, formando un leggero rilievo, e la sua tenuta viene assicurata mescolando il pigmento alla colla, naturale o animale: colori, acqua e colla vengono a formare la cosiddetta tempera che rappresenta il secondo sistema per fissare in modo permanente la pittura sulle pareti.

Tracciate a mano libera o con l’aiuto di righe e compassi, le superfici dipinte, realizzate con pigmenti, abitualmente di origine minerale, naturali o composti, in maniera tale da poter essere mischiati alla calce, ci giungono con tutta la loro brillantezza e bellezza!

Il motivo? Grazie a ricette sperimentate dagli antichi, come per esempio quella di spalmare le pareti di cera o di olio per poi passare uno straccio imbevuto di sego.

La rappresentazione di pittori intenti nella decorazione parietale è assai rara ma abbiamo comunque la fortuna di poter ammirare i risultati della loro opera, del loro dipingere contro il tempo prima che la calce si asciugasse, della loro precisione e creatività, il tutto condensato nelle splendide pitture rimaste, i cui colori brillanti sembrano essere appena stati stesi.

 

 

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