"Il più importante dato raccolto, mentre ero presente e seguivo la rimozione della terra nella quale il capolavoro giaceva seppellito, è che la statua non era stata gettata là, o seppellita in fretta, ma era stata nascosta e trattata con la massima cura. La figura, trovandosi in posizione seduta, era stata posta su un capitello di pietra dell'ordine dorico, come sopra uno sgabello e il fosso che era stato aperto tra le fondamenta più basse del tempio del Sole, per nascondere la statua era stato riempito con terra setacciata per salvare la superficie del bronzo da ogni possibile offesa. Sono stato presente, nella mia lunga carriera nell'attivo campo dell'archeologia, a molte scoperte; ho sperimentato una sorpresa dopo l'altra; ho talvolta e per lo più inaspettatamente, incontrato reali capolavori ma non ho mai provato un'impressione straordinaria simile a quella creata dalla vista di questo magnifico esemplare di un atleta semi-barbaro, uscente lentamente dal terreno come se si svegliasse da un lungo sonno dopo i suoi valorosi combattimenti".
1885. Pendici del Quirinale. Roma.
Compiamo un piccolo viaggio nel tempo e assistiamo alla scoperta di una delle opere più avvolte dal mistero attraverso gli occhi dell’archeologo Rodolfo Lanciani, in quegli anni segretario della Commissione Archeologica Comunale.
La scoperta? Quella del cosiddetto “Pugile a riposo”, conosciuto anche come “Pugile delle Terme”, oggi conservato al Museo Nazionale Romano Palazzo Massimo alle Terme.
La statua bronzea viene ritrovata nell’area del Convento di San Silvestro insieme al “Principe ellenistico”, a cui non è correlata, e probabilmente apparteneva ai resti delle Terme di Costantino.
Attribuita in un primo momento, come una copia, ad Apollonio di Atene, viene in seguito collocata come opera realizzata dalla cerchia lisippea o da Lisippo stesso, risalente quindi alla seconda metà del IV sec. a.C.: alta 1.28 m appare curiosa sia per la posizione del protagonista raffigurato sia per le condizioni del ritrovamento.
Arrivato a Roma dalla Grecia, non sappiamo esattamente quando e da dove, a seguito della sua vita sulle pendici del Quirinale, viene seppellito ma non a caso, come ci fa notare Lanciani stesso, bensì con tutti i riguardi possibili e con la massima cura. Posta su un capitello dorico, come se fosse seduta su uno sgabello, la statua viene sepolta tra le fondamenta del Tempio del Sole, ricoperta da terra setacciata e giunge così perfettamente conservata, mostrandosi in tutta la sua bellezza e atipicità come un vero e proprio capolavoro e unicum dell’arte greca.
Perché atipica?
Andiamo a vedere più da vicino quali sono le particolarità che rendono questa statua così speciale.
Il soggetto è un pugile seduto, come dice il nome stesso dell’opera, che si mostra all’osservatore in un momento di riposo a seguito di un incontro: caratterizzato da un corpo estremamente muscoloso, evidenziato dalla nudità che sottolinea la robustezza dei pettorali, delle braccia e delle cosce possenti, è seduto abbandonato con le gambe divaricate, le mani mollemente adagiate su queste e protette dai cesti, guantoni tipici del IV sec. a.C., con quattro dita infilate in un anello realizzato da tre fasce di cuoio collegate da borchie metalliche. Il volto solcato da cicatrici e curiosamente volto verso destra, a guardare un punto in alto, è quello di un uomo maturo ed è segnato dal tempo e dagli incontri succedutisi negli anni: la barba e i capelli ricci e folti sono entrambi curati e realizzati con maestria, la bocca è socchiusa, gli occhi con l’angolo esteriore piegato verso il basso, le sopracciglia a seguire lo stesso movimento, danno un’impressione di dolore e sofferenza, accentuata dalle rughe che solcano la fronte dell’uomo. Le orecchie presentano delle tumefazioni e sottolineano i molteplici incontri a cui il pugile ha partecipato, causa di funzioni uditive pregiudicate e del repentino volgersi verso destra, a tentare di sentire qualcosa, di contro alla mobilità del resto del corpo. A completare l’immagine, degli inserti di rame sulla spalla destra, sull’avambraccio, sui guanti e sulla coscia rappresentano gocce di sangue colate dalle ferite e sgorgate a seguito del movimento della testa.
Realizzata con la tecnica della fusione a cera persa e costituita da otto segmenti, la statua del nostro pugile è un contrasto vivente tra la quiete espressa dalla posizione del busto e l’improvviso scatto della testa. La posa è atipica, è quella di un combattente non nel pieno dell’azione ma colto nel momento successivo, quello del riposo, della stanchezza e della sofferenza: non è l’eroe ad essere rappresentato, è l’uomo puro e semplice, con tutte le sue debolezze, dolorante, mezzo sordo, con negli occhi, i quali dovevano essere policromi, tutto il peso degli anni e dei combattimenti affrontati.
Di chiaro impatto realistico, l’artista riesce a rappresentare una maschera di sofferenza senza però avere intenzioni ritrattistiche.
Ci mostra il dolore, ci mostra la bellezza, ci mostra quello che c’è dietro l’eroe perfetto e glorioso.
Ci mostra in quegli occhi penetranti tutta la caducità e la mortalità in un’epoca in cui l’atleta veniva raffigurato in forme ideali, senza tracce di sforzi e sentimenti.
E riesce a creare qualcosa di unico e speciale.