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Emozione Arte

Protesilao e Laodamia: l’ingiustizia della morte e la fedeltà di una donna


Oggi torniamo nel mondo dei Romani e del loro culto dei defunti, e diamo uno sguardo a come uno dei miti tanto in voga presso i Greci, venne approntato per soddisfare le esigenze del popolo della penisola.

Il mito in questione è quello di Protesilao e Laodamia: secondo una delle versioni il guerriero Protesilao fu il primo dei Greci a sbarcare a Troia e, dopo aver abbattuto non pochi uomini, venne ucciso da Ettore; la moglie Laodamia, pazza d’amore per lui e non sopportando l’idea di perderlo, si fabbricò una statua somigliante a lui e, fingendo che il marito fosse ancora in vita, si univa a questa; gli dèi si impietosirono e inviarono Ermes nell’Ade per ricondurre Protesilao da Laodamia; la donna credette che fosse tornato da Troia ma quando questi fu nuovamente ricondotto negli Inferi, lei per il dolore si uccise.

La vera protagonista della vicenda è la fedele Laodamia, il cui amore permette un ritorno temporaneo del marito dall’Oltretomba, e proprio Laodamia diventa un vero e proprio exemplum femminile per la donna, un termine di paragone per la defunta.

Rappresentare la defunta come la donna del mito è un modo, da parte del marito, di celebrare le sue virtù, in particolar modo la sua fedeltà, rimpiangendo la sua morte e sperando, al contempo, di rivederla nell’aldilà.

La raffigurazione del mito sui sarcofagi romani è molto rara e se ne conoscono solo due esemplari, uno dei quali presenta la particolarità di avere i volti dei coniugi non finiti, ed entrambi sono di età antonina.

Il motivo della vicenda, usato soprattutto per la raffigurazione della concordia tra marito e moglie e condensato nel gesto della dextrarium iunctio, ha larga fortuna nel III sec. d.C. ma finisce per esaurirsi già nel 170 d.C. circa, per non essere poi più utilizzato: rimarrà solo il gesto della dextrarium iunctio ad essere raffigurato nei sarcofagi con scene di vita quotidiana.

Vogliamo andare a dare un’occhiata a uno dei due sarcofagi realizzati che utilizza il tema di questa coppia sfortunata? Seguitemi e vediamo l’esemplare più particolare, quello che presenta i defunti con volti sbozzati.

Il sarcofago in questione proveniente dalla camera del “Sepolcro Barberini” è conservato nella Galleria dei Candelabri nella Città del Vaticano, e al 170 d.C.



Il tema utilizzato, molto raro, è indice del fatto che la rappresentazione del mito sia stata commissionata appositamente per i committenti. Un pezzo unico, frutto di una commissione speciale.

La narrazione del mito inizia dal lato breve sinistro, prosegue sulla fronte del sarcofago fino al lato destro, con un susseguirsi di sei scene in una vera e propria “narrazione continua” in cui il protagonista Protesilao compare in tutte: nel lato sinistro Protesilao, nudo, con un mantello e un giavellotto, che porge la mano a Laodamia, con il capo velato ad anticipare il futuro lutto, in segno di addio; Protesilao sulla spiaggia di Troia che si appresta a scendere dalla nave, per essere poi ucciso da Ettore; Protesilao che giace a terra morto e la sua ombra velata che si leva e viene accolta da Ermes; Protesilao, la mano destra alzata ad esprimere stupore e gioia, che viene ricondotto nel palazzo da Ermes; al centro della composizione l’incontro tra i due coniugi (lui nudo e con un mantello, e lei con una lunga veste, simbolo di castità, celebrando, da un lato, le qualità virili con la nudità eroica, e, dall’altro, il decoro richiesto dalla dextrarium iunctio) che si danno la mano, in una posizione formale, simbolo della concordia familiare; segue la scena della separazione, con Laodamia stesa su un kline (forse con nella destra perduta il pugnale con cui si darà la morte), ai cui piedi giace lo sposo melanconico e, dietro loro, una figura velata, che potrebbe essere, nuovamente, quella dell’anima di Protesilao che torna nell’Ade o l’anima della donna che sta per uccidersi; nell’ultima scena Protesilao, accompagnato da Ermes, saluta Caronte che lo traghetterà nell’Oltretomba; nel lato breve destro, si svolgono nell’Ade i supplizi di Sisifo, Issione eTantalo.

I volti di Protesilao e Laodamia nella scena della dextrarium iunctio appaiono incompleti, quello della donna più finemente lavorato con caratteri facciali, contorno del mento e dei capelli visibili e quello di lui un blocco indistinguibile e informe di pietra circolare.

Secondo l’usuale interpretazione, il sarcofago sarebbe stato commissionato dalla donna per il marito morto, come suggerirebbe anche l’utilizzo del mito ma strano appare che la testa della donna sia più finita di quella dell’uomo, quasi come se quest’ultima fosse da portare a compimento in seguito: questo porterebbe a pensare che la tomba fosse stata pensata per la donna (sovvertendo, così, l’ordine del mito, dove a morire è prima l’uomo, che, in questo caso, ricorderebbe la fedeltà della moglie) e forse alla fine venne utilizzata per contenere entrambi i corpi.

Le ipotesi sui motivi dell’incompletezza dei volti in un sarcofago certamente commissionato sono molteplici e non si è ancora giunti a una spiegazione certa.

Ma non è questo il contesto in cui esplorarle.

Quello su cui vorrei farvi soffermare è il messaggio che si è voluto dare: nonostante l’esaltazione delle qualità dei protagonisti e dell’amore coniugale, il sarcofago non contiene un vero e proprio messaggio consolatorio, insiste sul dolore della moglie per la perdita del coniuge, e il suo desiderio di rivederlo, anche se in un Aldilà di tormenti, come suggerito dalle punizioni delle tre figure sul lato breve destro.

Ma la scena centrale di dextrarium iunctio consola e placa il dolore, suggerendo come l’amore e la concordia in vita possano continuare anche dopo la morte.

E tutto ciò viene davvero trasmesso all’osservatore, e i volti incompleti finiscono quasi per scomparire, permettendoci un’immedesimazione completa nella storia, nel bene e nel male.


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