Selene ed Endimione.
Molte e divergenti sono le versioni che parlano della loro leggendaria storia, la più famosa delle quali è quella in cui si narra dello smisurato amore di Selene, e di Zeus che offrì a Endimione di scegliere tra una vita normale e un sonno eterno che lo avrebbe reso immortale e giovane per sempre: lui scelse la seconda possibilità, per godere per sempre dell’amore della dea. La dea lunare scendeva dal suo carro ogni notte per accarezzare ma non svegliare il giovane che, a seconda delle versioni, viene visto come il re dell’Elide, un cacciatore o un pastore del monte Latmos.
Una storia a lieto fine, dunque, accompagnata a un sonno eterno che può apparire sia come un dono sia come una maledizione e che, con i suoi centodieci sarcofagi conosciuti, ha una larghissima fortuna e impiego, dall’età tardoadrianea, passando per il grande utilizzo medioantonino e severiano, fino alle rappresentazioni “abbreviate” del IV sec. d.C.
È la storia d’amore preferita insieme a quella del ratto di Persefone e del ritrovamento di Arianna da parte di Dioniso, e il momento scelto è sempre quello della discesa di Selene dal carro per andare ad ammirare Endimione addormentato, con qualche piccola differenza nel tempo.
In un primo momento (140-180 d.C.) la scena avanza da destra verso sinistra, Endimione è raffigurato a riposo con il pastorale in mano, dietro di lui il dio del Sonno, e Selene è attorniata spettatori quali Amorini, pastori e divinità e scende dal carro; a partire dall’età tardoantonina (180-230 d.C.), si nota il movimento della scena è da sinistra verso destra, con Endimione sempre abbandonato, ma senza pastorale e con la barba, il dio del Sonno e a volte, a sinistra, la partenza di Selene. Ma, a parte questo piccolo dettaglio, la rappresentazione appare la medesima, e il senso di consolazione e speranza lo stesso.
Ma perché il mito di Selene e Endimione ebbe tanto successo?
Per quanto riguarda il simbolismo sono due le tradizioni seguite, delle quali la seconda prende più piede: per la prima, il sonno eterno di Endimione viene visto come una terribile punizione di Zeus che anche il defunto subisce; per la seconda e più fortunata, il sonno del giovine, in cui il morto si rivede, è un dono, la morte è un sonno felice, non ha nulla di diverso dall’assenza di sensazioni propria del sonno e vi è il desiderio che la si viva così. È il motivo della consolazione fornito dal mito che si afferma, una consolazione fornita su più livelli al familiare in lutto che osserva e ricorda l’amato defunto: paragonare il morto all’addormentato Endimione dà l’illusione che questo non sia un sonno della morte, ma un sonno eterno e desiderato, un sonno che permette, come al personaggio del mito, di non invecchiare e restare per sempre con la donna amata!
Ed ecco che l’altro tema centrale è l’amore, l’amore che Selene nutre per Endimione, e la presenza dell’uomo che giace e della donna che giunge di notte può essere intesa come l’inizio di una notte d’amore. Può essere questo un augurio di unirsi nell’aldilà con una divinità, esaltando le qualità del defunto oppure, più probabilmente, l’augurio di continuare a vivere dopo la morte con la propria sposa.
Naturalmente non vi è sempre il caso che i due sposi siano morti in contemporanea e quindi, nei casi in cui è morto solo il marito, questi può essere visto come Endimione che, dormendo in eterno, aspetta e sogna l’arrivo della sua Selene, mentre, in quelli in cui a essere morta è la moglie, lei è Selene che ogni notte visita il marito ancora vivo e dormiente e attende che la raggiunga nell’aldilà.
Col passare del tempo è proprio il tema dell’amore ad acquistare sempre più importanza nella raffigurazione, e, mentre nelle prime rappresentazioni, Endimione giaceva tra le braccia di un ingombrante dio del sonno, successivamente lo stesso Somnus versa nei suoi occhi il sonnifero e le figure dei due amanti si avvicinano sempre più l’uno all’altra.
La scena rappresentata è, quindi, quella dell’incontro di Selene con Endimione: la dea della luna, giovane e bella come Afrodite, palpitante d’amore, mai nuda ma con una veste che le scivola dalla spalla e sottolinea le curve del suo corpo, interrompe il suo corso del cielo, scende dal carro e si avvicina leggera alla grotta in cui giace il giovane Endimione dormiente, bello e desiderabile, con un braccio sopra la testa che ne evidenzia le forme perfette. La grotta acuisce il senso di intimità e il continuo ripetersi di questa scena sui sarcofagi simboleggia l’impossibilità dei due di separarsi e il loro eterno incontro. Due personaggi perfetti e innamorati, per lo più utilizzati per simboleggiare l’amore coniugale della coppia sposata, a cui i defunti vengono paragonati e a cui si augura che, così come erano stati in vita, così continuino ad essere per sempre.
In alcuni casi l’amore che il mito narra diventa quello tra madre e figlio, e il ricongiungimento che si spera è quello tra una madre che ha vissuto la morte del figlio. Qui chi si avvicina al giovane dormiente è una donna che ha sofferto la perdita della sua carne oppure ad essere narrato è il ricongiungimento tra un figlio ancora in vita e una madre morta. Nonostante non si segua, dunque, alla lettera il motivo più comune, l’utilizzo del mito funziona e, di certo, all’epoca non doveva apparire strano in questo diverso contesto.
È l’amore, l’amore in tutte le sue forme, non solo tra coniugi, a venire celebrato, l’amore che trionfa e abbatte persino le barriere del tempo!
E la morte, di fronte a tutto questo, diventa un dolce sonno e non fa più paura.