Magna Grecia, Campania. Paestum, l’antica Posidonia. O meglio, 2 km a sud, in una piccola necropoli di VI-IV sec. a.C.
Una tomba a cassa che ha fatto la storia, un raro esempio di pittura greca e una delle più incredibili realizzazioni dell’arte funeraria della Magna Grecia, creata e chiusa tra il 480 e il 470 a.C. e riaperta solo il 3 giugno del 1968: la Tomba del Tuffatore.
La più antica testimonianza nota della pittura figurativa greca di grandi dimensioni, la tomba è caratterizzata da pareti e lastra di copertura (a questa si deve il suo nome particolare, come vedremo in seguito) interamente intonacate e decorate con la tecnica dell’affresco.
Questa era il luogo di riposo probabilmente di un giovane uomo (i pochi resti ossei si sono polverizzati al momento dell’apertura) accompagnato nel suo viaggio per l’aldilà da un corredo piuttosto povero, costituito da pochi oggetti: una raffinata lekythos attica a figure nere, due beccucci di aryballoi in alabastro per contenere unguenti e alcuni frammenti del carapace di una tartaruga, probabilmente appartenenti a una lira. Di contro, la ricchezza della sepoltura è data dalle cinque lastre calcaree in travertino locale, accuratamente connesse tra loro, stuccate, giunte perfettamente conservate (tranne una leggera erosione del lato sud) e ricomposte in una sala del Museo Archeologico Nazionale di Paestum.
Ma cosa è raffigurato su queste lastre, potenti nell’esprimere il loro messaggio nonostante il colore, steso in modo uniforme, sia ridotto a poche tinte, quali l’azzurro, il banco, il bruno e l’ocra?
Sulle lastre che decorano le quattro pareti le scene scelte richiamano il tema del convivio, un tema molto caro alla coeva ceramica attica a figure rosse e, tra uomini adagiati sui tipici triclini e figure che intrattengono i convitati, scorrono davanti ai nostri occhi le scene di un allegro simposio.
Sulla lastra nord (lato lungo) sui triclini sono adagiati 5 personaggi maschili, inghirlandati e intenti a bere da grosse coppe, due dei quali, osservati con curiosità da un terzo, hanno posato le loro coppe e indugiano in gesti di affetto omosessuale: curioso da notare è che i partecipanti sono divisi in coppie tranne il quinto, a sinistra, che viene rappresentato da solo mentre offre una coppa a un nuovo arrivato che sta giungendo. Chi è questa figura che ancora non è giunta? È l’ospite d’onore, è il defunto stesso che viene a unirsi al banchetto che è stato organizzato per lui!
Sulla lastra est (lato breve) un unico giovane convitato attinge vino da un grosso cratere posato su un tavolino e si allontana con una oinochoe.
La lastra sud è lunga e speculare a quella nord e anche qui sono rappresentati 5 convitati stesi comodamente sui loro triclini: a destra un suonatore di flauto accompagna il suo vicino che si cimenta in un canto, tanto ispirato da reclinare il capo e toccarsi la fronte; al centro due uomini chiacchierano e bevono; sul lato opposto un convitato stringe tra le dita un oggetto bianco interpretato come un uovo (rimando a culti orfico-pitagorici?) e porge con l’altra mano una lira all’ospite d’onore in arrivo. Qui viene rappresentato il momento successivo al banchetto stesso, quello in cui si passa alla musica, spesso malinconica, e in cui in un certo senso il defunto per cui il banchetto è stato organizzato viene chiamato a ricordare e raccontare la sua vita passata e quello che ha lasciato.
La breve lastra ovest ospita un piccolo corteo costituito da una giovane suonatrice di flauto, da un giovane nudo che incede a passo di danza, le spalle cinte da un drappo di un azzurro brillante, e da un uomo barbato più maturo, forse un pedagogo, avvolto da un chitone e appoggiato a un bastone da passeggio.
Scene con un medesimo filo conduttore le quali rimandano tutte al tema del simposio, momento che presso i Greci e i Romani seguiva il banchetto, e in cui si beveva e ci si dedicava a intrattenimenti vari, fondamentale per la formazione dell’uomo e passaggio per entrare a far parte della comunità adulta e, allo stesso tempo, allusione del viaggio del defunto nell’oltretomba.
E questo viaggio verso una nuova vita è un tema ancora più centrale sulla lastra di copertura, la quale veniva a trovarsi faccia a faccia con il defunto: il soggetto raffigurato, raramente utilizzato dall’arte greca, dà il nome alla tomba e si tratta di un giovane nudo che, sospeso in aria, si sta tuffando in uno specchio d’acqua da una struttura simile a un trampolino.
Ciò è stato interpretato come un tuffo simbolico, un passaggio dalla morte all’aldilà, una liberazione del corpo dall’anima, un viaggio nella nuova dimensione dell’oltretomba.
Il “trampolino” è stato visto come le mitiche colonne d’Ercole che segnavano il confine del mondo e della conoscenza umana, segno di un punto oltre il quale l’uomo può andare solo liberandosi delle proprie spoglie mortali, e l’ondoso specchio d’acqua rappresenterebbe il vasto mare dell’aldilà: il giovane si libera del suo corpo, ricorda il suo passato (come accade nel simposio) ma non si abbandona più a questo, preparandosi a vivere una nuova e più profonda vita.
Di contro a una visione greca più negativa dell’aldilà qui, da un lato, forte è l’influenza etrusca che si manifesta nella pratica di dipingere le tombe e, dall’altro, altrettanto forte è la diffusione di nuove idee basate sulla speranza di una forma di sopravvivenza dopo la morte, ispirate dal pitagorismo e dall’orfismo e condivise dagli iniziati ai misteri di questa tradizione.
Ciò ha portato a pensare che la persona sepolta nella tomba fosse un iniziato a questi culti misterici e il tuffo, spiccato con fiducia e totale abbandono, ci porta davvero a credere che il defunto sia finalmente libero e felice.