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Emozione Arte

L’Afrodite Cnidia e la Venere Callipigia: il candore e la sensualità della dea dell’amore


«O Musa, dimmi le opere di Afrodite d'oro,

dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli dei

e domina le stirpi degli uomini mortali,

e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,

quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare»

Afrodite, Venere per i Romani, la dea nata dal mare, dea dell’amore e della passione, amata e odiata, splendida oltre ogni dire, poteva accendere a suo piacimento nel cuore degli uomini l’incendio del desiderio, fino a spingerli alla pazzia, come anche ispirare sentimenti di tenerezza destinati a sbocciare in un amore puro.

Che fosse amata o odiata venne rappresentata molto spesso dagli artisti greci e romani, evolvendo continuamente e assumendo sempre pose diverse, ma mostrando ogni volta la sua bellezza in grado di incatenare lo sguardo dell’osservatore.

Due i modelli statuari che oggi andiamo ad esplorare, quelli che mi sembrano i più belli e significativi e che rappresentano appieno due facce della dea della bellezza: la pudica Afrodite Cnidia e la sensuale Venere Callipigia.

L’Afrodite Cnidia viene così definita: “Superiore a tutti i lavori, non solo di Prassitele, ma nel mondo intero, è l’Afrodite per vedere la quale molte persone hanno navigato a Cnidos”. Commissionata in un primo tempo dagli abitanti di Coo allo scultore Prassitele e realizzata nel IV sec. a.C., viene in seguito acquistata dagli abitanti di Cnido, in Asia Minore, per la decorazione di un santuario. Il motivo? L’assoluta innovazione della sua raffigurazione, in quanto l’artista per la prima volta nella storia della scultura, decide di spogliare la dea che si accinge a compiere un bagno rituale (oppure lo ha appena fatto e sta per uscire dall’acqua)! Prima di questo momento soltanto il corpo maschile era stato rappresentato nudo e la novità sconvolge gli abitanti di Coo mentre affascina gli abitanti di Cnido. L’originale non è purtroppo giunto sino a noi (posto a Costantinopoli, dopo l’incendio del 475 d.C. non se ne seppe più nulla) ma la bellezza dell’opera di Prassitele è stata riproposta in così tante opere che possiamo goderne nelle copie romane, la più apprezzata e fedele delle quali è quella dei Musei Vaticani nel Museo Pio Clementino.



Afrodite viene rappresentata con caratteri nuovi, più congeniali alle attese del pubblico di IV sec. e la divinità viene concepita in maniera più umana e meno eroica, colta in un’attività quotidiana in cui qualunque osservatore può riconoscersi: stante, la dea poggia il peso sulla gamba destra, nella mano sinistra reca una veste che ripone (o prende?) su un’idria e la mano destra è portata a coprire il pube; lo sguardo è trasognato e si perde lontano, la testa volta verso sinistra, come se all’improvviso fosse apparso un estraneo o un amante atteso. Ed ecco il perché della pudica posa, il perché di questo movimento improvviso, il leggero ripiegarsi del corpo quasi a nascondersi, un movimento che però non riesce a nascondere la bellezza e la delicatezza del corpo sinuoso della dea che viene a formare una “S”. La levigatezza della pelle contrasta con le fitte pieghe della veste, i tratti del viso sono delicati, i capelli disposti in riccioli ordinati e il movimento imbarazzato accresce la sensualità della divinità: un vero e proprio esempio di grazia mista a sensualità.

Ma cosa succede quando a subentrare in tutta la sua potenza è la sensualità e Afrodite ci appare in tutto il suo essere “dea della bellezza”?

Succede che assistiamo alla nascita della Venere Callipigia, un’opera di III sec. a.C., originariamente in bronzo, che noi possiamo ammirare nella splendida copia marmorea di epoca adrianea, databile tra il I e il II d.C., rinvenuta nei pressi della Domus Aurea, acquistata dai Farnese, dai Borbone e oggi al Museo Archeologico di Napoli.

Ritenuta uno dei migliori esempi dell’ideale di bellezza femminile il suo nome significa letteralmente “Afrodite dalle belle natiche” e il motivo appare subito chiaro in quanto la dea viene rappresentata nell’atteggiamento tipicamente femminile (anche qui l’osservatore può rivedersi) di sollevare il peplo per scoprire fianchi e natiche e voltarsi all’indietro per guardarsi il “lato B”, in questo caso estremamente perfetto! La posa curiosa richiama il cosiddetto rituale dell’anasyrma, un rituale apotropaico diffuso nella Grecia antica in cui l’esibizione delle parti intime è usata in risposta a un nemico sovrannaturale.


Venere viene colta nel momento in cui si accinge a fare il bagno mentre intenta a spogliarsi volge uno sguardo ammirato al proprio fondoschiena: quest’ultimo diventa il punto focale della raffigurazione stessa e l’osservatore finisce per volgere l’attenzione su questa parte del corpo, spinto anche dall’ammiccamento della figura stessa. La parte inferiore del corpo dai fianchi in giù appare morbida e levigata, estremamente realistica, e contrasta con il peplo sollevato dalla dea, ricco di pieghe che creano incredibili chiaroscuri; il peso è sostenuto dalla gamba sinistra mentre la destra è vezzosamente sollevata, in una posa ammiccante e seducente; i capelli disposti in riccioli perfetti e i tratti altrettanto perfetti del volto contribuiscono ad esaltare lo splendore della dea della bellezza che appare civettuola e desiderosa di mostrarsi, niente affatto pudica come l’Afrodite Cnidia.

Qui sono la sensualità e l’erotismo a fare da padroni e sembra proprio di vedere nella dea la causa della follia d’amore scatenata da lei negli uomini.

«Afrodite, immortale che siedi

sopra il trono intarsiato,

figlia di Zeus, tessitrice di inganni

ti supplico: non domare il mio cuore

con ansie, tormenti, o divina.»

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