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I mostri del Pittore di Polifemo


Il tempo dei mostri.

Il tempo delle creature esotiche.

Il tempo delle stranezze e delle bizzarrie.

Il tempo dell’età orientalizzante.

È in mezzo alle ceramiche che oggi andiamo a muoverci e in special modo in Attica. Siamo nel VII sec. a.C.: Corinto ha dato il via a una produzione ceramica di grande successo e…Atene resta invece fedele al linguaggio figurativo di VIII sec., quello delle figure geometriche. La potenza espressiva è ormai spenta ma la città si oppone strenuamente alle novità provenienti da quello strano e bizzarro Oriente.

Per quanto provi a resistere Atene, dalla fine dell’VIII sec. a.C., comincia a sentire pian piano il fascino di questa nuova cultura ed è così che accanto ai motivi geometrici compaiono palmette, rosette, sfingi, serpenti, tutte dal sapore orientale: è l’arrivo dell’età orientalizzante in Attica, è l’arrivo dello stile protoattico!

Dopo un lento inizio dal 680 al 630 a.C. lo stile protoattico medio procede alla sostituzione del vecchio patrimonio iconografico geometrico con nuove scelte figurative che rompono con il passato e mostrano tutta l’irrequietezza del periodo: la diffusione non è ampia, si respira aria di crisi determinata dallo spostamento dell’élite aristocratica da Atene alle campagne e dalle migrazioni di molti artigiani verso Occidente. La crisi è tangibile e solo verso la fine del VII sec. a.C. l’Attica inizia ad uscirne vincitrice con l’approdo alle ceramiche attiche a figure nere.

Ma torniamo alla metà del VII sec., alla crisi, al pieno periodo orientalizzante, al periodo dei mostri…in un’epoca in cui le figure mostruose presentano ventri enormi, teste giganti e sembrano essere protagoniste dei peggiori incubi, maestosa si erge la figura del cosiddetto Pittore di Polifemo!

Il nome di questo pittore deriva dal soggetto raffigurato su un’enorme anfora a lui attribuita e ritrovata nella necropoli di Eleusi, la cosiddetta Anfora di Eleusi: è questa una dei più famosi esempi della nascente ceramografia attica, un’esemplificazione della personalità dell’artista e un simbolo della produzione del periodo, liberatasi dal classicismo geometrico e desiderosa di sperimentare tecniche e composizioni di tipo narrativo. E, oltre a questo, è una delle più antiche rappresentazioni finora conosciute di due miti!



Andiamo allora a vedere questa anfora, scopriamola e cerchiamo di vederla con gli occhi di un osservatore dell’epoca!

Quello che in primis appare è la grandezza dell’anfora, ben 1.42 m di altezza, e che all’interno è stato inumato un bambino: era un’anfora monumentale a scopo funerario, un sema (“segno”), un segnacolo posto per attirare l’attenzione del viandante, decorato su un lato e sull’altro coperto con motivi astratti.

Le scene realizzate sono tre.

Sul collo dell’anfora si svolge la raffigurazione che ha dato il nome al nostro pittore: è la scena principale, una scena epica, in cui Odisseo insieme a due compagni trafigge con violenza l’occhio del ciclope Polifemo. Polifemo è seduto a terra, ubriaco, con la bocca e l’occhio spalancati in una delle pochissime rappresentazioni di dolore in questo periodo; con una mano tenta di togliere la punta acuminata del palo dall’occhio, mentre con l’altra regge ancora una coppa di vino: l’autore ha così scelto di narrare insieme due parti del racconto, l’ubriacarsi del ciclope e il suo accecamento, in una interessante rielaborazione della storia.

Le tre figure barbate che accecano Polifemo con un’asta immaginaria formata da tre linee appaiono diverse: due sono delle vere e proprie silhouettes nere, mentre quella più vicina al mostro è bianca, realizzata a linea di contorno e, con un ginocchio sollevato a darsi la spinta, si scaglia contro il mostro. Quest’ultima figura è proprio quella dell’eroe Odisseo, realizzata con una nuova tecnica, diversa da quella tipicamente geometrica della silhouette, e usata proprio per distinguere il protagonista dagli altri.


La caratterizzazione ambientale è assente e vi sono motivi decorativi di varie forme a “galleggiare nell’aria”.

Sulla spalla si svolge una “teromachia”, una lotta tra un cinghiale e un leone e, sulla pancia, una scena mitologica: l’eroe Perseo, dopo aver decapitato la Medusa, fugge inseguito dalle Gorgoni, sorelle di questa, e la dea Atena, maestosa e imperturbabile, si erge a sua difesa.

Medusa resta a fluttuare orribilmente nell’aria, gonfia, con il capo mozzato e circondata da fiori, e Perseo inizia a darsi alla fuga. Atena è stante, elegante e imponente nel suo elegante abito e blocca decisa il passo alle due mostruose sorelle di Medusa, la cui corsa è resa dall’emergere della gamba dalla lunga veste. All’epoca non esisteva ancora una vera e propria iconografia delle Gorgoni e il Pittore di Polifemo ne inventa liberamente una: i due mostri hanno corpi sottili di cui viene tracciato solo il contorno, indossano ampie e improbabili gonne e hanno teste immense che ricordano i calderoni bronzei su cui spuntano protomi di leoni e serpenti.

Lo stile del “White and Black”, l’uso della tecnica a contorno e dell’incisione, la scelta di far risaltare in qualche modo i protagonisti, la decisione di inventare un modo per raffigurare le Gorgoni…tutto questo fa dal Pittore di Polifemo un vero e proprio innovatore e da questo solo esempio vediamo la grandezza di ciò che la ceramica attica sarà.

La scelta di raffigurare dei mostri? Forse un primo tentativo, in un periodo critico, di esaltare la cultura greca che sta venendosi a formare (nelle figure di Odisseo e Perseo) di contro alla natura selvaggia dei popoli lontani (gli orribili mostri mitologici).

La crisi è tangibile ma i mostri possono essere sconfitti.


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