“Io rappresento l’uomo com’è e non come dovrebbe essere.”
Nel corso di VI e parte di V sec. a.C. la scultura e l’architettura greca hanno volto la loro ricerca verso la perfezione ideale dell’uomo, trovando un punto di incontro tra umano e divino.
È solo nel IV sec. a.C. che l’attenzione dell’artista si sposta e si concentra sull’uomo, uomo che prende coscienza del proprio spazio e si muove in questo, la cui figura si muove libera e priva di legami. All’immobilità, espressione del divino, si preferisce il movimento, manifestazione dell’umano.
Ed ecco che arriviamo all’affermazione all’inizio della nostra riflessione.
Chi è questo artista che dice di rappresentare l’uomo esattamente così com’è, che non è interessato ad idealizzarlo ma a far contemplare all’osservatore se stesso?
È Lisippo di Sicione, scultore prediletto del celebre Alessandro Magno, attivo all’inizio del IV sec. a.C. È lui quello che, partendo dal canone di Policleto, rinnova il classico, fa fare un passo avanti alla rappresentazione della figura umana, precedentemente rappresentata solo frontalmente, e viene considerato l’anticipatore della scultura ellenistica vera e propria.
Quale opera provare ad analizzare per capire le novità introdotte da Lisippo?
Ovviamente l’Apoxyomenos, la più famosa e significativa. Realizzata in bronzo tra il 330 e il 320 a.C. non è giunta sino a noi ma ci resta la descrizione di Plinio il Vecchio grazie alla quale abbiamo individuato nell’opera in marmo conservata ai Musei Vaticani una fedele copia di età claudia.
Plinio ci dice che l’originale fu trasportato a Roma da una città dell’Asia Minore da parte di Agrippa, il quale lo fece collocare davanti alle sue terme; piacque così tanto a Tiberio che questi lo fece spostare nella sua camera da letto ma, all’insorgere del popolo che così non poteva più ammirarlo, venne riposizionato al suo precedente posto.
L’Apoxyomenos è letteralmente “colui che si deterge”, la statua raffigura un atleta intento a pulirsi con uno strigile, un raschietto metallico, dal sudore misto a olio con cui si era cosparso prima della gara.
Un momento complessivamente insignificante, niente a che vedere con le rappresentazioni precedenti di atleti colti nella fase “eroica” della gara, mentre gareggiano e vincono, nel momento di massima gloria! Anzi, un momento che accomuna sia vincitori che vinti, in cui tutta la fatica crolla sul capo del protagonista ed è ben visibile, e l’atleta è ben lungi dall’apparire bello e perfetto.
Questo è quel che Lisippo decide di raffigurare ma lo fa con nuove soluzioni. Ma andiamo con ordine.
L’atleta è snello, non ha forme massicce, la gamba portante è quella sinistra ma anche la destra allungata all’indietro riceve parte del peso del corpo e ci dà la sensazione che un movimento stia per compiersi; il busto e le anche compiono una leggera torsione e accompagnano il gesto compiuto; il braccio destro si stacca dal busto e si protende in avanti, verso lo spettatore, avvitandosi leggermente sul proprio asse longitudinale, conquistando uno spazio che prima ancora non era concepito, e anche il braccio sinistro è sollevato e raggiunge il destro impugnando con la mano lo strigile. Le proporzioni sono più slanciate rispetto alle pesanti statue policletee, le gambe, il torso e le braccia appaiono più lunghe mentre la testa, quasi un cubo che si volge leggermente verso destra, è più piccola, i capelli sono disposti in grosse ciocche scomposte che ricordano lo sforzo appena compiuto e occhi, naso e bocca dischiusa sono ravvicinati e concentrati in un triangolo, contribuendo a dare un’espressione di pathos e fatica.
È l’Uomo a venire rappresentato, non un ideale di perfezione, non un eroe invincibile, ma l’uomo puro e semplice.
E Lisippo sconvolge tutto per raggiungere lo scopo!
Egli costruisce la figura secondo uno schema che parte dal canone di Policleto, non rispetta più la legge della ponderazione secondo la quale l’equilibrio si ottiene attraverso un gioco di rapporti immutabile, rinnova questa legge e raggiunge un equilibrio instabile. Al contempo la figura acquista libertà, si muove nello spazio, prende coscienza di questo, interagisce con l’osservatore: si sbilancia in avanti, le braccia sono portate in avanti, la piena visione del busto non è più al centro dell’attenzione dell’artista ma quello che acquista veramente importanza è il movimento!
Il ritmo si sostituisce alla simmetria. Non vi è più un unico punto di vista, frontale, ma ve ne sono di più. La figura va vista da tutte le angolazioni, non appare mai la stessa, è mutevole come mutevole è l’uomo.
I corpi più slanciati si muovono liberi nello spazio, lo conquistano, sembrano reali, rappresentano l’uomo in tutte le sue accezioni e fragilità. Gli uomini di Lisippo hanno volti intensi ed espressivi, soffrono, faticano, sentono tutto, non sono involucri vuoti e perfetti. In una parola, vivono. E meritano di essere rappresentati anche in momenti apparentemente privi di importanza, quotidiani.
L’idealizzazione classica viene superata, Lisippo ci invita a cogliere l’uomo nella sua grande semplicità che è anche la nostra, l’uomo che libero da vincoli si muove e conquista la terza dimensione: l’Apoxyomenos può essere definito a tutti gli effetti come la prima statua a tuttotondo della scultura greca!
La strada all’arte ellenistica è spianata.
Lisippo è riuscito nel suo intento: rappresentare l’uomo così com’è e non come dovrebbe essere, perché è COSÍ che è perfetto, così e in nessun altro modo.