Eracle. L’eroe invincibile.
L’eroe delle Dodici Fatiche.
L’eroe instancabile…ma davvero così instancabile?!
Una fatica, secondo i miti, lo stremò e sconvolse particolarmente, sia fisicamente sia psicologicamente…Ma partiamo dall’inizio!
Il nostro eroe, invincibile ma anche estremamente umano, impazzisce e uccide moglie e figli. Tornato in sé vuole porre fine alla sua vita ma Teseo riesce a dissuaderlo consigliandogli di chiedere all’oracolo di Delfi un modo per purificarsi di tutto il sangue versato. Questi lo costringe a mettersi al servizio del re Euristeo, il quale gli ordina di affrontare 12 incredibili fatiche, simbolo della lotta costante tra uomo e natura selvaggia.
L’undicesima fatica è quella che ci interessa, la penultima di queste incredibili imprese: il recupero dei pomi d’oro delle Esperidi.
Queste erano quattro ninfe e vivevano in un meraviglioso giardino nell’estremo Occidente del mondo, oltre i confini della terra abitata, dove avevano il compito di custodire un prezioso albero che dava pomi d’oro, un dono da parte di Gea ad Era e Zeus per le loro nozze. A ulteriore protezione dell’albero, anche dalle Esperidi stesse, Era aveva posto anche Ladone, un serpente dalle 100 teste. Poco distante Atlante, titano padre delle ninfe, sosteneva la volta celeste sulle sue spalle.
Nessuno sapeva dove si trovasse questo misterioso giardino.
Eracle nella sua ricerca si imbatte in Prometeo, fratello di Atlante, il quale gli consiglia di cercare suo fratello e di far cogliere a lui i pomi dorati. L’eroe riesce ad arrivare ai confini del mondo e trova finalmente Atlante: si offre di sostituirlo nel difficile compito per qualche tempo, se questi avesse raccolto per lui i pomi delle Esperidi, e il titano accetta. Al suo ritorno non vuole riprendere il mondo sulle proprie spalle, cerca di lasciare per sempre questa responsabilità ad Eracle ma questi lo batte con l’astuzia: fingendosi onorato chiede ad Atlante di riprendere solo per un attimo la volta celeste in modo da consentirgli di intrecciare una stuoia di corde da mettere sulla schiena e alleggerire così il peso ma fatto ciò…fugge con i pomi prima che il titano possa rendersene conto.
I pomi verranno poi riconsegnati da Euristeo, secondo altre versioni tornarono invece a Eracle che li diede ad Afrodite, per poi tornare a Era stessa, legittima proprietaria.
Una triste conclusione attende però le Esperidi che muoiono disperate per la perdita del loro tesoro e del serpente Ladone, trasformandosi in alberi.
Un successo per l’eroe ma al contempo una triste vicenda che lo segna profondamente…e chi può raffigurarlo degnamente se non l’artista Lisippo, il creatore dell’Apoxyomenos, scultore dell’Uomo in tutte le sue sfaccettature?!
L’“Eracle a riposo”, più conosciuto come “Eracle Farnese”.
È una scultura ellenistica in marmo alta 3.17 m, realizzata da Glicone di Atene e databile al III sec. d.C., copia di un originale in bronzo creato da Lisippo nel IV a.C., purtroppo andato perduto.
Trovata a Roma nel 1540 nelle Terme di Caracalla entra a far parte della collezione dei principi Farnese e per generazioni viene esposta nella sala d’Ercole a Palazzo Farnese. Nel 1787, grazie all’eredità ottenuta da Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, l’intera collezione viene trasferita a Napoli e collocata nella reggia di Capodimonte, nel Palazzo del Real Museo e infine nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Nel 2000 l’architetto progettista della stazione Museo della metropolitana di Napoli fa eseguire persino una copia dell’opera da inserire all’ingresso della stazione.
Diamo un’occhiata a questo pensoso e stanco eroe, ormai noto come “Eracle Farnese”.
Eracle è massiccio, le proporzioni delle membra sono alterate nel senso della larghezza al fine di mettere in rilievo la possente muscolatura, accentuando d’altra parte la piccolezza della testa, caratteristica tipica di Lisippo. Entrambi i talloni poggiano a terra ma tutto il peso è scaricato sulla spalla sinistra addossata alla clava, parzialmente coperta dalla leontè, la pelle del leone Nemeo conquistata in una delle Fatiche, entrambi attributi dell’eroe. La roccia su cui poggia la clava reca la firma dell’artista Glicone. Il braccio sinistro crolla abbandonato sulla clava mentre quello destro è piegato all’indietro in posizione di riposo, poggiata sul gluteo la mano che ancora stringe i pomi delle Esperidi. La testa, dalla capigliatura e dalla barba ricche di esagerati boccoli, si abbandona in avanti, l’espressione pensierosa, rughe profonde solcano la fronte, gli occhi sono infossati, lo sguardo rivolto a terra.
La muscolatura sovrumana è quella di un possente eroe vincitore ma sono la tristezza e la stanchezza a prevalere.
Lisippo crea un Eracle stremato, sfiancato, non soddisfatto di sé dopo aver portato a termine l’impresa.
Eppure i simboli delle sue vittore sono lì, primi fra tutti i pomi ancora stretti in mano!
Ma sono quasi nascosti, Eracle quasi si vergogna di averli presi.
L’undicesima impresa è quella che più ha lasciato all’eroe stanchezza fisica e morale, un’intima tristezza lo pervade.
Eracle diventa simile a noi, fragile come l’uomo, i suoi muscoli possenti una maschera blanda che non riesce a nascondere tutte le sue debolezze. Lisippo ha scelto di non rappresentare il pieno vigore e le lotte destinate a concludersi con un successo, ma un momento di pausa e stanchezza.
Lisippo ha scelto di rappresentare la mortalità di un uomo a cui è concesso raggiungere l’immortalità, le paure e fragilità di un uomo nonostante la vittoria.
Nell’Eracle Farnese rivediamo noi stessi.