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Il Sarcofago degli Sposi di Villa Giulia. Un’unione indissolubile che dura da 2500 anni


Nella Sala 12 del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia c’è una storia d’amore.

Una storia d’amore sotto forma di sarcofago.

Una storia d’amore che dura da 2500 anni.

La possiamo trovare sotto il titolo di “Sarcofago degli Sposi”, anche se sarcofago propriamente non è, bensì urna funeraria, e ha inizio attorno al VI sec. a.C., a nord di Roma, nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri.

Ma la storia e il viaggio dei due sposi nell’eternità è destinato ad interrompersi bruscamente a causa di alcuni tombaroli che profanano la tomba, distruggendo orribilmente in centinaia di pezzi il mezzo per viaggiare, allo stesso tempo simbolo di unione della coppia.

Verso la fine del XIX sec., nel 1881, nuova vita sembra arrivare alla Banditaccia con il principe Ruspoli, proprietario dei terreni della zona, il quale concede ai fratelli Boccanera il permesso di scavare in un punto a ovest della necropoli e…immaginate la sorpresa al rinvenimento di centinaia di incomprensibili frammenti di terracotta! Questi, portati a palazzo Ruspoli, cadono sotto gli occhi di un ospite del principe, un certo Felice Bernabei, archeologo fondatore del nostro Museo Etrusco di Villa Giulia, il quale riesce a riconoscere una figura di donna.

Bernabei per più di 10 anni tratta coi Ruspoli per poter acquistare i preziosi frammenti e alla fine, nel 1893, i 400 pezzi vengono acquistati per 4000 lire dal Museo, il sarcofago di cui facevano parte ricomposto e restaurato e ancora oggi possiamo ammirarlo rispondendo con un sorriso ai volti sereni e in pace dei due protagonisti rappresentati.



Un uomo e una donna semidistesi su un letto funebre come se stessero banchettando…ma cosa vediamo davvero in questo sarcofago che in realtà è un’urna cineraria destinata ad accogliere le ceneri dei due defunti distesi alla moda orientale su un letto da convito, il kline?

La cassa a forma di kline che forma l’opera è un vero e proprio letto su cui sono dipinte schematicamente delle palmette e con i montanti della testata impreziositi da capitelli ionici; il materasso e una coperta quasi tesa forniscono il morbido giaciglio su cui la coppia è semidistesa in posizione centrale.

La donna, il busto frontale e la testa leggermente alzata, indossa chitone, mantello, un copricapo etrusco di origine orientale e ai piedi calza calzari a punta. I seni sono molto evidenti sotto la sottile tunica e su di questi scendono lunghe e sottili trecce che sbucano da sotto il copricapo: due inquadrano il viso e scendono fin quasi alla vita e le altre cadono sulle spalle e sulle braccia. L’uomo, la barba lunga e appuntita, il torso nudo e un mantello a coprire il resto del corpo, le cinge le spalle in un gesto che fa supporre si tratti di due giovani sposi e si volge teneramente verso lei.

L’attenzione dell’artista invece che ai corpi, allungati e nascosti da panneggi estremamente raffinati, è tutta rivolta ai volti e ai gesti compiuti dai due protagonisti. I volti, con i particolari delle capigliature aggiunti in un secondo momento e fori per l’innesto di parti a noi non pervenute, hanno nasi a punta, occhi allungati e sereni e bocche piccole disposte a formare il cosiddetto “sorriso arcaico” dal sapore squisitamente orientale, in una composizione che trasmette un senso di pace e tranquillità.

Al contempo le mani della donna sono messe in modo tale da reggere un qualcosa a noi non giunto, forse un alabastron, un vaso, da cui starebbe versando gocce di profumo sul palmo sinistro proteso del compagno.

Il significato? Probabilmente simbolo del rito legato ai defunti e al culto che si rende loro.

La rappresentazione della coppia a banchetto indica un momento importante della vita aristocratica etrusca, esalta la ricchezza e i rituali ripresi dal mondo greco e pone i due sposi a rappresentanti di una opulenta famiglia di Caere, orgogliosi delle loro origini anche dopo la morte. La raffigurazione della donna dalle braccia bianche, centrale e attiva nella composizione, conferma la sua importanza come sposa devota e fedele al proprio marito. Il gesto dell’uomo di cingere le spalle della donna ci parla del suo amore e del rispetto che questi nutre per lei, sentimenti destinati a permanere nell’eternità.


Il motivo del banchetto compare in Grecia e in Vicino Oriente nel VII sec., arriva nel VI in Etruria e ci permette di datare questo capolavoro che risente particolarmente degli influssi ionici portati dagli artigiani dell’Asia Minore al 520-510 a.C.

E nel banchetto la coppia rappresenterebbe la doppia immagine dei due che festeggiano sia da vivi sia da morti, con il desiderio di banchettare nell’aldilà e il volto sereno di chi sa che continuerà il proprio viaggio in compagnia della persona amata.

L’urna cineraria in argilla, modellata in un unico momento ma poi tagliata verticalmente in due metà per evitare danni durante la cottura, in origine ravvivata da forti colori, ci racconta una storia bellissima.

Una storia d’amore. Un matrimonio felice. Una vita serena. Ma anche una morte in pace. E un viaggio. Un viaggio che va celebrato con un banchetto perché destinato ad essere fatto insieme per sempre.

Una storia, un’unione e un viaggio che durano ormai da 2500 anni.

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