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Emozione Arte

Meleagro. Il mito, la morte e un piccolo defunto


“Ella dunque, stirpe divina, l’Urlatrice, irata, gli mandò contro un feroce cinghiale selvaggio, zanna candida, che prese a conciar male la vigna d’Oineo; molti alberi alti stendeva a terra, rovesci, con le radici e con la gloria dei frutti. L’uccise Melèagro, il figliuolo d’Oineo, chiamando cacciatori da molte città e cani, ché vinto non l’avrebbe con pochi mortali, tant’era enorme, e gettò molti sulle pire odiose.”

Così Omero nell’Iliade parla del valoroso eroe Meleagro, l’uccisore del famoso cinghiale calidonio ma…chi era Meleagro?

Figlio del re Oineo e di Altea, concepito in una notte in cui la donna aveva giaciuto anche con Ares, dopo la sua nascita le Moire predissero alla madre il suo futuro: sarebbe stato di indole nobile, si sarebbe ricoperto di gloria e…sarebbe vissuto fino a quando il tizzone che stava ardendo nel camino fosse durato!

A sentire quest’ultima predizione Altea prende il tizzone e inizia a conservarlo con estrema cura.

Meleagro negli anni compie imprese straordinarie fino a che non si giunge alla celebrazione di un certo sacrificio, quello di cui parla Omero: il padre Oineo dimentica di nominare la dea Artemide e questa, adirata, manda un immenso cinghiale a devastare il paese. Comincia la caccia al cinghiale calidonio e tutti i più grandi eroi partecipano, Meleagro compreso, per ottenere come ricompensa la pelle della bestia.

Durante la caccia il nostro eroe dà al cinghiale il colpo decisivo ma cede il trofeo ad Atalanta, l’amata che aveva partecipato alla caccia e colpito per prima il mostro.

Risultato? Una disputa tra l’eroe e i fratelli della madre Altea, i Testiadi!

Una donna non merita tale premio e questi glielo sottraggono, ma Meleagro li uccide.

Entra allora in scena Altea che, desiderosa di vendicare i fratelli morti, getta nel fuoco il tizzone da cui dipendeva la vita del figlio, uccidendolo.

E, come in ogni tragedia che si rispetti, tornata in sé, si uccide.

Sono i Romani ad attingere a questa stessa tragedia nei loro sarcofagi, che il soggetto sia la partecipazione di Atalanta alla caccia o la morte di Meleagro…ma quella che più viene rappresentata è la scena della caccia al mostruoso cinghiale, con o senza la presenza dell’amata Atalanta, in cui, a essere esaltati sono proprio il coraggio e il valore dell’eroe, a cui il defunto con tutte le sue virtus viene naturalmente paragonato.

Nei casi in cui è presente anche Atalanta, il tema su cui ci si focalizza è invece quello dell’amore tra i due, a rappresentare lo stesso amore che lega il coniuge morto a quello ancora in vita.

La rappresentazione del mito di Meleagro e della caccia viene molto usata anche sui sarcofagi per i fanciulli in cui il piccolo defunto viene rappresentato come l’eroe: la caccia è un’attività propria dei fanciulli e Meleagro risulta un ottimo personaggio per raffigurare ed esaltare il giovane defunto.

Paragonare il defunto allo sventurato, eroico ed innamorato Meleagro, narrare il suo amore per la coniuge/Atalanta, esaltarlo per quello che ha compiuto in vita, usare l’eroe per raffigurare un fanciullo morto in giovane età e che non potrà mai sposarsi…questi sono gli usi che i Romani fanno del mito e un esempio assai particolare in cui è un bambino ad essere raffigurato come Meleagro è il sarcofago del Würzburg nel Martin-von-Wagner Museum.

È della fine del III sec. d.C., è destinato proprio a un fanciullo morto in giovane età e raffigura la caccia al cinghiale calidonio di Meleagro in compagnia di Atalanta e di altri cacciatori.



Nonostante piccoli danni l’esemplare è ben conservato, le pieghe degli abiti, i riccioli dei capelli dei cacciatori e il pelo irto del cinghiale sono resi da solchi profondi, mentre le sopracciglia e le iridi con segni delicati.

Partendo da sinistra sono presenti due cacciatori, nudi e con un mantello che copre loro le spalle; al centro Meleagro a cavallo, con chitone, pantaloni, clamide e una lancia nella destra, e Atalanta (identificata anche come Virtus ), con chitone che lascia scoperta la spalla destra che, come Psiche, ha le ali e tiene nella destra una pietra da lanciare al cinghiale, piccolo e ferito da due cani; sulla destra, dietro il cinghiale, un cacciatore e un ragazzo che ha catturato un cervo .

I personaggi sono tutti di dimensioni ridotte e con caratteri facciali infantili e da ciò si deduce che il sarcofago dovesse essere la dimora eterna di un fanciullo morto prematuramente.

Il piccolo defunto in questione è rappresentato nei panni dell’eroico Meleagro, figura che infatti ha posto sul mitico corpo un paffuto ritratto di bambino, in un’ultima esaltazione del morto paragonato a un personaggio celebrato e apprezzato per tutte le sue virtù.

Il volto di Atalanta, sempre quello di una fanciulla, risulta invece sbozzato e levigato, con i caratteri facciali appena accennati, e nessun particolare a sottolineare i capelli.

L’ipotesi di Andreae è che i tratti della fanciulla fossero stati lasciati deliberatamente non finiti, per non fissare sul marmo il volto: questo in sarcofagi per bambini poteva essere spiegato con il desiderio di permettere ai piccoli di continuare a crescere nell’aldilà.

Strano è però il fatto che quello della fanciulla sia lasciato così e non quello del fanciullo, rappresentato come Meleagro, a cui era destinato. Le ipotesi che il destinatario fosse una bambina, o che fosse stato scelto dal campionario in magazzino, non sono molto convincenti: il tema della caccia calidonia per una bambina appare strano e la cura dedicata al sarcofago deporrebbe a favore di una commissione espressa e di certo non è stato fatto in un momento precedente alla morte del fanciullo, poiché morto di morte prematura e difficile da prevedere.

Si può, forse, pensare che la fanciulla rappresentata fosse la sposa prescelta per il bambino e che non si volesse fissare nella pietra per non precluderle la possibilità di continuare a crescere?


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