Di Silvia Urtone
Roma, l’erede dei regni ellenistici e di quella meravigliosa cultura che in Grecia era nata.
Ma non solo.
Con Traiano la sua posizione nell’Impero venne rafforzata, con la monumentalizzazione della città stessa, con Adriano si cercò di cementare in un tutto la Città Eterna e le province di cultura ellenistica stesse: un nuovo equilibrio nelle province e un’arte imperiale vennero a crearsi.
Gli Antonini seguirono questa linea e la compenetrazione delle province con Roma divenne completa ma, al contempo, tra il 138 e il 192 d.C., vi fu la prima crisi dell’Impero e la prima crisi nell’arte della forma tradizionale ellenistico-romana!
L’apparente classicismo venne superato, anche se non del tutto, fu il trionfo del simbolismo, della ricerca del movimento, di contro al naturalismo, fu il ritorno dell’arte plebea: fu l’affacciarsi di un’arte più completa e innovativa che potesse rispondere alle esigenze dei tempi correnti.
Un’opera racchiude tutto questo. È una base di colonna onoraria innalzata dai successori Marco Aurelio e Lucio Vero per celebrare la memoria dell’imperatore Antonino Pio e dell’amata moglie Faustina.
La colonna sorgeva in Campo Marzio, più o meno dove oggi sorge l’obelisco di Montecitorio fatto erigere da Augusto come gnomone di una grande meridiana, era di granito rosso egiziano, senza decorazioni al contrario di altre colonne imperiali, e sormontata dalla statua dell’imperatore raffigurato come un Giove con i suoi attributi…ma oggi quel che rimane è solo la splendida base a forma di dado con tre raffigurazioni e un’iscrizione dedicatoria, collocata nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.
La colonna venne eretta tra il 161 e il 162 d.C., poco dopo la morte di Antonino Pio nel 161, e il Campo Marzio scelto da Marco Aurelio e Lucio Vero come luogo per celebrare il predecessore e la moglie fu quello in cui si era svolto l’Ustrinum Antoninorum, ossia la cremazione del corpo dell’imperatore. Colonna alta 14.75 m, i suoi resti vennero riportati alla luce e accatastati vicino a Palazzo Montecitorio nel 1703 quando alcuni edifici nella zona vennero rasi al suolo e dissotterrati; Benedetto XIV nel 1741 volle far posizionare il basamento restaurato al centro della piazza ma non ottenne molti consensi; danneggiata da un incendio il granito della colonna venne usato nel 1789 per restaurare l’obelisco di Montecitorio ritrovato nel 1748: oggi della colonna di Antonino Pio rimangono solo la base e la terminazione con la firma dell’architetto Eraclide.
Andiamo ad osservare questa base, testimonianza dell’arte imperiale del II sec. d.C.
L’iscrizione nomina soltanto l’imperatore ma la scena principale di apoteosi rappresentata sul lato opposto mostra come protagonista anche la moglie Faustina, morta venti anni prima.
Al centro si staglia grande, imponente e nell’atto di sollevarsi dal suolo, una figura alata maschile, l’Aion, il Tempo Assoluto, l’Eternità, il Tempo che sempre si rinnova, nelle religioni orientali attributo delle divinità supreme, o divinità suprema stessa: questi, nudo e con in mano un globo celeste e un serpente, trasporta sulle sue enormi ali la coppia di Antonino Pio e Faustina che, affiancata da due aquile, attributi di Zeus, ascende verso gli dèi, in una felice immagine di apoteosi.
Ai due lati, in basso, assistono alla scena due figure, la dea Roma, vestita come un’amazzone, con l’elmo, circondata da armi e il braccio alzato in segno di saluto e rispetto, e la personificazione del Campo Marzio, un giovane che sorregge l’obelisco importato da Auguso da Eliopoli.
L’impostazione del rilievo è tipica delle scene di apoteosi con nella parte inferiore delle figure distese e in quella centrale/superiore una che si innalza obliquamente con i protagonisti, ma assistiamo a forti innovazioni: il classicismo è accademico e le figure di Roma e Campo Marzio risultano molto statiche e quasi oggetti inanimati, ma di contro la figura alata del genio è plastica, impetuosa, sembra davvero sbattere le ali davanti a noi e sollevarsi verso l’alto; piccoli accorgimenti movimentano la scena e rivelano una diversa concezione dello spazio, con elementi che sporgono oltre i bordi, dallo scudo di Roma all’ala del genio al panneggio di Campo Marzio: è il trionfo del simbolismo, del movimento che rompe gli schemi classicistici, è il momento di nuove sperimentazioni!
Nei due lati minori sono raffigurate due scene molto simili che celebrano un antico rito per la coppia: è la cosiddetta decursio, una celebrazione in cui, attorno al rogo funebre in cui era stato cremato il corpo del defunto, si svolgevano parate, combattimenti e giostre a cavallo!
Le varie processioni si svolgevano in vari momenti ma nel rilievo si è scelto di rappresentare il tutto contemporaneamente, collocando una parata dentro l’altra. È così che, con un espediente ripreso dall’arte plebea, quello della prospettiva “a volo d’uccello”, delle figurette tozze, quasi a tutto tondo, vengono inquadrate nel compiere l’intero giro attorno al rogo su vari piani.
L’organizzazione spaziale è estremamente originale, il contrasto tra scena animata e sfondo levigato estremamente netto, l’artista ha voluto sperimentare e ci è riuscito!
L’arte plebea, il simbolismo, il movimento e un classicismo non ancora del tutto superato si mescolano dando vita a un’opera unica e a un’elaborazione formale totalmente nuova: l’arte romana sta cambiando, si sta evolvendo, sta trovando la sua strada, gli schemi ellenizzanti sono ancora presenti ma quasi svuotati.
Questa è la propaganda imperiale del II sec. d.C.
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