Di Silvia Urtone
“[Plutone] si precipitò verso di lei [Proserpina], che, scortolo, così nero e gigantesco, con quegli occhi di fuoco e le mani protese ad artigliarla, fu colta dal terrore e fuggì leggera assieme alle compagne... Il dio dell'Ade, in due falcate le fu addosso e l'abbracciò voracemente e via col dolce peso; la pose sul cocchio, invano ostacolato da una giovinetta, Ciane, compagna di Proserpina, che tentò di fermare i cavalli, ché il dio infuriato la trasformò in fonte.”
[Claudiano, Il rapimento di Proserpina]
Chi non conosce il mito che lega Cerere e Proserpina, madre e figlia, contro il dio dell’Oltretomba Plutone?
È il mito dell’invincibile amore di una madre per la propria figlia, un amore capace persino di stabilire l’alternarsi delle stagioni nel corso dell’anno!
Cerere, nella mitologia romana, è la dea delle messi, dell’agricoltura e della fertilità, colei che permette di sopravvivere e nutrirsi. Viene identificata con la greca Demetra celebrata con grandi onori ad Eleusi e anche con Tellus stessa, la terra. La tradizione la vuole figlia di Saturno e Rea, le attribuisce il merito di aver insegnato agli uomini a coltivare la terra ma, più di tutto, Cerere è conosciuta per il mito che la vede protagonista insieme alla figlia Proserpina.
Tanto tempo fa Proserpina cresceva in grazia e bellezza e uno sfortunato caso volle che in lei si imbattesse l’oscuro dio dell’Ade Plutone: ella stava raccogliendo fiori con le sue compagne e ninfe in una bellissima pianura sul monte Enna, in Sicilia, presso la fonte Aretusa, e il dio, stanco delle tenebre che sempre lo circondavano nel suo regno, girava sul suo cocchio in questo mondo luminoso. Subito si innamorò della fanciulla e volle farla sua cosicché la trascinò sul suo carro trainato da quattro neri cavalli e la portò nel suo regno oscuro e sotterraneo.
Cerere, disperata, iniziò a cercarla in lungo e in largo, la sua strada illuminata da due fiaccole, le stesse con cui spesso viene rappresentata, piangeva incessantemente, raggiunse Eleusi e qui guarì con un bacio Trittolemo, figlio del re Celeo affetto da una malattia incurabile, gli donò una gran quantità di grano e lo inviò per tutta la Grecia a insegnare agli uomini il modo in cui coltivarlo.
Per nove giorni e nove notti non toccò né nettare né ambrosia, non si curava più delle messi, dei frutti e dei fiori e implorò Giove affinché la aiutasse a ritrovare la propria figlia: ma Giove non poteva tradire il fratello Plutone…e allora la dea decise di provocare una grandissima siccità e di far sprofondare la terra nella disperazione, proprio come lei.
Alla siccità seguì la carestia e uomini e bestie morivano a bizzeffe ma la dea era irremovibile.
Allora Mercurio venne inviato da Plutone per intimargli di lasciare libera Proserpina e Plutone dovette obbedire ma, prima di farla partire, le fece mangiare dei chicchi di melograno che la legarono per sempre all’Ade!
Giove allora, mosso a compassione, fece in modo che Proserpina potesse trascorrere sei mesi all’anno insieme alla madre (primavera ed estate), passando gli altri sei insieme a Plutone (autunno e inverno): fu così che nacque l’alternanza delle stagioni. In primavera la terra si ricopre di frutti e fiori, celebrando la gioia di Cerere nel riunirsi alla figlia e per festeggiare il suo ritorno, mentre in autunno il mondo perde colore e foglie per la lontananza di Proserpina…e l’anno successivo tutto ricomincia.
La madre e la figlia. Cerere e Proserpina.
Il loro commovente ricongiungimento avviene anche nel famoso Parco dei Mostri di Bomarzo, nel Lazio, in provincia di Viterbo. Qui, nello splendido luogo voluto dal Principe Orsini nel 1552 e commissionato all’architetto e antiquario Pirro Ligorio, le due dee vengono a incontrarsi, sorgendo quasi dalla terra, circondate dalle mille sculture in peperino che vennero realizzate in questo anfiteatro naturale: Pier Francesco Orsini voleva con questo labirinto gigantesco creare un vero e proprio palcoscenico fatto di mostri di pietra, divinità, eroi e animali fantastici ma, prima di tutto, voleva dedicare il luogo a sua moglie, Giulia Farnese, a cui fece costruire anche il Tempio, per commemorare la sua morte.
Proprio in questo “Bosco Sacro”, abbandonato per molto tempo e poi restaurato, ha vita l’incontro di madre e figlia.
Cerere sorge gigantesca dalla terra, in mezzo ad agavi, a tritoni che sorreggono un fanciullo che gioca alle spalle della dea e ad Anfitrite in compagnia di un delfino. Attorno vi sono grandi vasi e uno persino sul suo capo: la dea è immensa, nuda e coperta solo sulla vita da un leggero panneggio, i capelli ricci e sciolti e lo sguardo perso in lontananza quasi alla ricerca della figlia in arrivo. Sembra spuntare dalla terra proprio come le piante che nascono grazie a lei, dea dell’agricoltura!
Proserpina, invece, è posta al centro del viale delimitato da ghiande e pigne, ed è rappresentata come una panca, accogliente e con le braccia allargate che fungono da schienale: un drappo è poggiato sulle sue spalle e in testa reca una corona, quella di regina dell’Ade, e sembra invitare la madre a sedere con lei e a raccontarsi gli eventi accaduti nei sei mesi in cui sono state separate.
Madre e figlia crudelmente divise si incontrano qui, nel Bosco Sacro, all’inizio della primavera, piene di gioia e di momenti da vivere insieme.
All’autunno e alla malinconia che sempre lo accompagna ci penseranno tra sei mesi.
Ed è proprio questo l’invito che le due divinità fanno anche a noi che percorriamo le stradine del Bosco.
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