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“Colui che viene in pace”Imhotep, il medico e il costruttore della piramide di Djoser

C’era una volta un uomo destinato a divenire un dio.

Il suo nome era Imhotep.

Un nome che non accostiamo a un dio ma per gli Egizi lo diventò davvero, ricordato in secoli e dinastie.

Ci troviamo ai tempi del faraone Djoser, agli inizi dell’Antico Regno d’Egitto, la cosiddetta III dinastia, tra il 2630 e il 2611 a.C…e Imhotep era il medico, il cancelliere e l’architetto del faraone!

Egli era figlio dell’architetto di Menfi, Kanofer, e di Khreduonkh, e fin dalla giovinezza si distinse per la sua intelligenza e per la sua velocità di apprendimento tanto da essere notato dal faraone stesso e da ricoprire la carica di visir. Aveva avuto un’educazione semitica, divenne famoso per la sua capacità di interpretare i sogni e risolse molte gravi questioni relative alla distribuzione del grano durante sette anni di carestia: tutto ciò portò ad assimilarlo all’ebreo Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, anche egli considerato prediletto del faraone e, secondo la Genesi, protagonista di questi eventi.

Il suo nome significava “colui che giunge in pace”, anche se non vi sono certezze riguardanti la pronuncia dei geroglifici, e si accordava perfettamente a un personaggio ritenuto chiave nella storia della medicina egiziana. I medici, infatti, erano generalmente figure avvolte da un alone di mistero che li portava ad essere spesso divinizzati e proprio questo capitò a Imhotep, medico eccezionale e dalle straordinarie abilità curative!


Piramide a gradini di Djoser


Fondamentale per la medicina del tempo era ritenuto autore di uno dei più antiche trattati in materia trovati, il papiro Edwin Smith, in cui descriveva ben 48 casi clinici che si era trovato ad affrontare: fratture, tumori, traumi alle braccia, alle costole, alla clavicola, al collo… e persino alla testa, i quali mostrerebbero una conoscenza ai primi stadi delle funzioni del liquido cefalorachidiano, facendone di Imhotep un possibile scopritore.

Ma egli non fu solo il medico e il visir di Djoser.

Fu anche il suo architetto e realizzò quella che è conosciuta come la piramide a gradoni di Djoser, evoluzione senza precedenti nella storia delle piramidi, passaggio fondamentale dalle mastabe alle enormi piramidi.

Precedentemente, infatti, le tombe reali egiziane erano costituite da stanze scavate nel terreno e ricoperte di mattoni crudi, le mastabe appunto. L’idea di Imhotep fu di passare a utilizzare la pietra e di costruire non una sola mastaba ma sei decrescenti, una sopra l’altra!

La piramide si trovava a Saqqara, a nord-est di Menfi, e faceva parte di un complesso funerario costituito da una grande corte, strutture cerimoniali, padiglioni e portici, e circondato da un muro che racchiudeva il tutto come una fortezza.


Statuina bronzea di Imhotep

La piramide nacque da una mastaba quadrata che copriva un pozzo profondo 28 m, ampliata in un rettangolo; altri quattro gradoni vennero costruiti sopra raggiungendo i 42 m di altezza e Imhotep in seguito decise di eccedere, ampliandola con altri due gradoni che la portarono a un’altezza di ben 60 m, rivestendola di lastre di calcare bianco e facendola diventare la più spettacolare delle tombe reali prima di lei. Nel lato nord vi era un’entrata che conduceva al pozzo e da questo partivano quattro corridoi orientati verso i punti cardinali, gallerie e stanze distribuite attorno alla camera sepolcrale. Sulla punta della piramide c’era una terrazza e l’intera struttura doveva diventare una sorta di scala per l’anima del faraone affinché potesse ascendere al cielo e congiungersi al dio Ra sulla sua barca solare nel momento in cui il sole illuminava la sommità della sua tomba.

Nonostante sia solo la metà delle grandi e successive piramidi di Giza la piramide di Djoser fu la prima ad essere costruita in pietra e a collegarsi a quell’idea che il sovrano defunto potesse ascendere e unirsi in questo modo agli dèi: fu un passo necessario a permettere l’evoluzione delle piramidi stesse.

E, tra interventi medici e architettonici, Imhotep si guadagnò una fama che non lo abbandonò neanche in epoca tarda, tale da fargli abbandonare la sfera terrena per raggiungere quella divina!

La devozione per questa divinità che incarnava le tipiche qualità egiziane (intelligenza, fedeltà al sovrano, religiosità, dedizione al lavoro), che forniva al popolo un esempio ma per la sua semplicità era a lui più vicino, era attestata anche da statuette in bronzo che lo raffiguravano come scriba: seduto e con un papiro sulle ginocchia era simbolo di saggezza e di ispirazione divina che influiva sugli uomini attraverso la sua stessa rappresentazione. L’abito lo identificava come sacerdote, il papiro come un uomo saggio, il cappello era segno di Ptah, padre divino di Imhotep…e questa iconografia rimase invariata fino all’epoca tarda e tolemaica.

Più di 400 sono le statuette che recano il nome di Imhotep, figlio di Ptah e membro a tutti gli effetti del Pantheon di Menfi e la sua fama è destinata a riecheggiare per l’eternità.

Imhotep. “Colui che viene in pace”.

Di Silvia Urtone

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