Di Silvia Urtone
Il fascino del mito è un fascino senza fine.
Il mito ha la capacità di sopravvivere nei secoli, di non invecchiare mai e di risultare attuale e bellissimo anche passati tanti anni dalla sua “nascita”.
Il mito dell’eroe semidivino Eracle e delle sue incredibili 12 fatiche è uno di questi.
Oggi è solo una delle sue fatiche a catturare la nostra attenzione, ossia la decima, quella del furto della mandria di buoi di Gerione. Euristeo, re di Tirinto e Micene e cugino della madre di Eracle, era salito al trono grazie all’aiuto di Era, gelosa di Zeus e desiderosa di non far salire al trono Eracle stesso e, sempre grazie alla dea, aveva sottomesso il giovane, sfruttandone le potenzialità e costringendolo a compiere le famose 12 fatiche. Questi le portò a termine mano a mano fino a che non giunse alla decima: rubò la mandria dei buoi del mostro Gerione, con l’aiuto della barca dorata di Helios, uccise Gerione e fuggì ma venne intercettato da Caco che, a sua volta, gli sottrasse la mandria.
Caco, secondo la leggenda, venne generato da Vulcano ed era un’antica divinità del fuoco della regione in cui venne fondata Roma. Secondo altre versioni era un mostro di aspetto scimmiesco, dal corpo coperto di peli e dalle tre teste. Viveva in una grotta dell’Aventino e spaventava i suoi vicini con i sui costanti furti e venne ad incontrarsi con Eracle di ritorno dalla sua fatica. L’eroe si adirò e si mise alla ricerca del ladro ma l’impresa si rivelò più difficile del previsto poiché il furbo Caco aveva portato le bestie nella sua grotta trascinandole per la coda, cosicché le orme lasciate indicavano la direzione opposta. Ma uno dei buoi rispose al richiamo di Eracle e gli permise di scoprire il nascondiglio. Egli si aprì un varco tramite una roccia e affrontò Caco nella sua grotta: questi cercò di difendersi vomitando fuoco che avvolse il luogo ma Eracle saltò attraverso il fuoco, raggiunse il mostro e lo strinse così tanto da fargli uscire gli occhi fuori dalle orbite e ucciderlo.
Le incredibili avventure vissute da Eracle sono state narrate e raffigurate, col passare dei secoli, in ceramiche, statue, quadri…e persino in luoghi spettacolari e inaspettati come il Parco dei Mostri di Bomarzo, conosciuto anche come la Villa delle Meraviglie.
Ci troviamo nel Lazio, in provincia di Viterbo, nel cuore della Tuscia, alle falde del Monte Cimino e alle pendici di un vero e proprio anfiteatro naturale: proprio qui Vicino Orsini scelse di farsi realizzare il maestoso e particolarissimo “Sacro Bosco” o “Parco” o “Villa”, un complesso monumentale unico al mondo!
Si tratta di un parco naturale ornato da tante e tante sculture in peperino realizzate nel XVI sec. e raffiguranti creature mitologiche, mostri terribili e meravigliosi, eroi, animali e divinità.
Il principe Pier Francesco Orsini, detto anche Vicino Orsini, letterato e uomo d’armi, commissionò all’architetto e antiquario Pirro Ligorio la realizzazione di questo parco, un luogo che, dopo la sua morte, venne abbandonato per poi essere rivaluto e diventare fonte di ispirazione per figure come Goethe e Dalí. La sua creazione avvenne presumibilmente tra il 1552 e il 1580 e le grandi statue vennero ad integrarsi perfettamente col bosco, formando un tutt’uno con la natura del luogo, in una mescolanza di grottesco e naturalismo. Per alcuni studiosi il tutto veniva fatto risalire a Michelangelo Buonarroti e in parte al Vignola, ma furono invece la “regia” di Pirro Ligorio e le sculture di Simone Moschino a portare a compimento la realizzazione del Sacro Bosco dedicato a Giulia Farnese, moglie di Vicino Orsini.
Il Bosco è eccentrico, per nulla razionale, con statue enormi ricavate dai blocchi di peperino affioranti dal terreno, non rispetta l’ideale cinquecentesco, è irregolare, con assenza di prospettiva e proporzioni coerenti e diventa un vero e proprio labirinto in cui il visitatore viene a perdersi scoprendo dietro ogni angolo nuove inquietanti meraviglie, accompagnato da numerose iscrizioni e da panchine.
L’ingresso è sormontato dallo stemma degli Orsini e si apre su due Sfingi, andando avanti si incontra un Gigante che divora un avversario, scendendo a valle una Tartaruga enorme ricorda Morla de “La Storia Infinita”, e poi si staglia una fontana sormontata da Pegaso.
Un piccolo e un grande Ninfeo si mostrano in tutta la loro bellezza, tra sedili e nicchie ospitanti statue, un tempietto funerario richiama al silenzio, una casetta pendente mostra tutta le creatività di chi ideò il luogo. E poi draghi, elefanti, orchi con le fauci spalancate, figure mitologiche come Sirene, Proteo, Venere su una conchiglia, la dea Cerere e la figlia Proserpina…fino a giungere alla stessa lotta tra Eracle e Caco, la “Lotta tra giganti” o il cosiddetto “Colosso”.
Il gruppo è la più grande statua presente nel Parco, attorniato da alcune figure di guerrieri ormai erose dal tempo ed è il simbolo di quanto il mito antico rimanga nella testa e nei cuori degli uomini.
Ercole e Caco e il ricordo delle fatiche dell’eroe, così come tutti gli altri gruppi del Parco, sono qui, tra la vegetazione e le rocce, in un labirintico percorso alla riscoperta dei miti stessi, prova tangibile della bellezza che vince sul tempo.
Prova tangibile di un luogo in cui è possibile perdersi e sognare.
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