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Diana alla corte del Re Sole. Una copia romana della dea della caccia al Louvre

“Tristo il cantor, che di Diana tace!

Canto Diana, che di strali e d’arco,

E di balli pei monti erti si piace,

E seguir belve o le aspettare al varco,

E comincio dal dì, ch’alle paterne

Ginocchia sendo parvoletto incarco,

Dammi, padre, dicea: ch’io serbi eterne

Vergini brame, e tai nomi, che orgoglio

Apollo più di me non deggia averne:

La gran faretra e il grande arco non voglio,

Provederà, se impetro, a me Vulcano

Pieghevol arco e faretrato spoglio.”

(Inno di Diana, Callimaco)


Sono molti i miti legati alla figura della dea Diana, l’Artemide greca, e vanno dalla sua nascita da Latona, durante la quale aiuta la madre a far nascere il gemello Apollo, alla sua primissima infanzia in cui prega il padre Zeus di farla abitare nei boschi, libera e selvaggia, a quando, nella sua età matura, il cacciatore Atteone osò levare gli occhi su di lei mentre faceva il bagno e venne trasformato per vendetta in cervo.

Diana è una dea italica, il cui santuario principale si trovava nel Lazio, nel bosco di Ariccia, presso il lago di Nemi; è la signora delle selve, protettrice degli animali selvatici e delle donne, che la pregavano per non avere parti dolorosi; è la dea della luna, di contro al gemello Apollo, il Sole, la dea vergine, la dea libera e selvaggia che, imbracciando il suo arco, corre per i boschi; è la dea amante della solitudine, vendicativa ma al contempo protettiva verso i suoi seguaci.

Diana era tutto questo e arrivò persino alla corte del Re Sole!


Diana di Versailles

Luigi XIV costruì la sua immagine attorno al luminoso Apollo, mostrandosi alla Francia e al mondo come personificazione stessa del Sole e il suo capolavoro, la Reggia di Versailles, non lontana da Parigi, fu in tutto e per tutto un inno a sé e a Dio: negli estesi giardini, meravigliosa opera in cui trovavano spazio opere di ingegneria che stupiscono ancora oggi, vengono realizzate la Grotta di Teti, quella in cui, secondo il mito, il dio Apollo riposava ogni notte, stanco per aver guidato tutto il giorno il carro, la Fontana di Latona, la sfortunata madre dei gemelli che, tormentata dai contadini della Licia che non volevano far dissetare lei e i figli presso il loro stagno, pregò Zeus che li trasformò in rane, e la Fontana dello stesso Apollo.

“Dal momento che il sole è l'emblema di Luigi XIV, e che quel poeta ha unito la figura del sole con Apollo, non vi è nulla nella superba casa che non sia in relazione con questa divinità.”

Tutto richiama il dio Apollo e naturalmente c’è spazio anche per la sorella Diana/Artemide, la cui statua era stata collocata nella meravigliosa Galleria degli Specchi.

La Diana di Versailles è una statua di marmo, di dimensioni poco più grandi del naturale, ed è una copia romana di I-II sec. d.C. di un originale bronzeo greco del 325 a.C. circa, andato perduto e attribuito a Leocare, l’artista che era stato chiamato a partecipare alla decorazione del Mausoleo di Alicarnasso, una delle Sette Meraviglie del mondo. Probabilmente questa fu scoperta in Italia, forse nello stesso santuario di Ariccia o a Tivoli, nei pressi di Villa Adriana, e a metà del Cinquecento venne donata da Papa Paolo IV a Enrico II di Francia, come allusione alla sua favorita, Diana di Poitiers: venne collocata nel Giardino della Regina del Castello di Fontainebleau ed era così bella da essere messa al pari dei capolavori del Belvedere. Nel Seicento Enrico IV la trasferì al Louvre, in una galleria creata appositamente per lei, poi decorò la Galleria degli Specchi di Versailles e infine tornò definitivamente al Louvre a fine Settecento, con conseguente creazione di una copia per Versailles.


Diana di Versailles, particolare

La dea è rappresentata come una fanciulla snella e mascolina, quasi androgina ma estremamente aggraziata, che indossa un chitone, dei semplici sandali e ha un mantello legato attorno alla vita. Volge lo sguardo verso destra, forse verso un cervo, mentre alla sua sinistra la segue un altro piccolo cervo. Nella mano sinistra impugnava un arco, oggi andato perduto, mentre la mano destra è portata alla faretra sulla spalla, da cui sta estraendo una freccia: proprio la mancanza dell’arco fa diventare la composizione più pastorale e meno legata alla caccia. La figura, secondo lo schema tipico di VI-V a.C., imita una X, giocando con braccia e gambe attive e a riposo, ma qui lo schema chiastico risulta meno rigido e più naturale, dinamico ed elegante: la gamba sinistra avanza con grazia, quella destra è arretrata, il piede sollevato, mentre il braccio destro è piegato e attivo e quello sinistro abbandonato lungo il fianco a tenere l’arco. I capelli sono raccolti dietro il capo, per non dare fastidio alla cacciatrice, lo sguardo è deciso e punta la preda.

Siamo in presenza di una dea, perfetta e terribile, estranea alle emozioni. In lei regnano la perfezione e la pace.

È la sorella di Apollo, è la sorella del Re Sole.


Di Silvia Urtone

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