Di Silvia Urtone
Il II sec. a.C. è il tempo del Tardo Ellenismo in Grecia, è il momento in cui Roma fa sentire sempre di più la sua presenza, riduce la culla dell’arte classica in provincia…e l’unico modo che resta al popolo greco prostrato è l’evasione.
Evadere da una realtà che sta cambiando e crollando velocemente è la soluzione e in questo clima di fragilità vengono a formarsi sperimentazioni artistiche in cui ad affermarsi è l’importanza del privato, dei suoi valori, voltando lo sguardo a quello che sta accadendo nel resto del mondo: i valori familiari e l’erotismo dominano in sculture che diventano composizioni pervase da movimenti turbinosi e a spirale, in un virtuosismo incredibile.
Ma verso la fine del II sec. i soggetti scultorei perdono questo avvitamento e questa tendenza a focalizzarsi sul movimento stesso, e a prendere il sopravvento diventa il soggetto stesso dell’opera. Ad essere scelti sono momenti particolari, quasi scherzosi, momenti curiosi e a volte artificiosi e bizzarri con l’intento di voler strappare un sorriso all’osservatore.
Un esempio tangibile è l’ Afrodite del sandalo, conosciuta anche come Afrodite, Pan e Eros, eseguita verso il 100 a.C., rinvenuta a Delo e oggi al Museo Archeologico Nazionale di Atene.
È questa una scultura molto diversa dalle altre statue della dea della bellezza giuntaci, non per la tecnica e il materiale usati ma per come si sia scelto di rappresentare il soggetto, costituito da un gruppo in marmo con tre figure mitiche: la splendida Afrodite, Pan, divinità selvatica mezza uomo e mezza capra, e un piccolo Eros alato, figlio della dea, dio dell’amore fisico e del desiderio.
Prima di proseguire sulla scelta della scena soffermiamoci sulla figura della dea.
Il suo levigato e morbido corpo nudo ricorda moltissimo l’Afrodite Cnidia di Prassitele, risalente al IV sec. a.C. e presa a modello per questa creazione del 100 a.C. La dea prassitelea era stata un’innovazione assoluta in quanto per la prima volta nella storia della scultura l’artista aveva deciso di spogliare Afrodite che si accingeva a compiere un bagno oppure stava per uscire dall’acqua: più umana e meno eroica, seppure splendidamente perfetta, questa veniva colta in un’attività quotidiana svolta da tutti, stante, con il peso sulla gamba destra, una veste nella mano sinistra e la mano destra a coprire pudicamente il pube; lo sguardo sognante puntava verso sinistra, quasi a guardare l’amante apparso all’improvviso, e a questo si doveva la posa, il subitaneo tentare di coprirsi, il ripiegarsi del corpo quasi a nascondersi…un tentativo vano che non riesce a nascondere la bellezza della giovane dea e la delicatezza del suo corpo che sembra formare una sinuosa “S”.
La pelle levigata contrastava con le pieghe della veste, i tratti delicati del viso erano contornati da riccioli ordinati e Afrodite era un misto di grazia e sensualità.
Parte di questo ritorna anche nell’ “Afrodite del sandalo” in cui la dea questa volta appartiene ad un curioso e divertente terzetto e nella scenetta giocosa il senso del sacro e del tragico è ormai un ricordo lontano, in un perfetto stile di fuga volto a pensare solo alle cose belle della vita e a strappare un sorriso.
La dea della bellezza si sta preparando a fare un bagno, è splendida nella sua nudità e si è appena messa una fascia per raccogliere i capelli e non bagnarli; improvvisamente Pan, dal volto animalesco, le corna, il muso schiacciato da caprone, le orecchie appuntite e le zampe caprine le si avvicina e le afferra il braccio, lo stesso con cui Afrodite cerca di coprirsi pudicamente il pube.
Il mostruoso Pan è visibilmente eccitato e compie una rotazione non molto disinvolta che gli permette di volgersi verso la dea, Afrodite lo allontana col sorriso e coprendosi in maniera poco convinta e molto leziosa, e tra i due, sulla spalla della madre, il piccolo Eros alato dà manforte e lo scaccia ridendo e afferrandolo per un corno.
L’artista ha scelto di raffigurare la dea dell’Olimpo come una donna terrena e tranquilla, per niente preoccupata del goffo assalto a cui risponde con gioco brandendo un sandalo!
È una scena giocosa che oscilla tra lo scherzo, la bellezza del corpo femminile della dea e il desiderio sessuale animalesco della creatura dei boschi, una scena tra il desiderio e la repulsione. Quest’opera ci fa comprendere quanto durante questo periodo l’arte sia interessata a un mondo più divertente e umano, in cui gli dèi non appaiono più irraggiungibili e incomprensibili ma vicini a noi, anche nell’uso di oggetti di uso quotidiano come un sandalo.
La composizione appare complessa, prevede una torsione violenta dei corpi e consente all’artista di dimostrare tutte le sue capacità e abilità: è una scena di genere, non pertinente a una specifica storia, non narrante un evento mitico, da apprezzare da tutte le sue angolazioni, che costringe lo spettatore a muoversi e a girare attorno alla statua scoprendone i vari dettagli, come il fallo eretto del dio silvestre e la comicità del sandalo brandito.
L’Afrodite del sandalo è figlia del suo tempo, è una fuga divertente da una realtà che sta cadendo a pezzi e che non si vuole più guardare in faccia.
È la testimonianza che l’arte sopravvive e prospera anche durante la crisi.
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