“Su questo sangue, purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né alcun altro possano regnare a Roma.”
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 59)
Eccovi un piccolo assaggio di colui che fu Lucio Giunio Bruto, fondatore della Repubblica a Roma.
Siamo nel 509 a.C. e proprio il 1° giugno egli venne nominato console insieme a Lucio Collatino: fino a quel momento Roma era retta da una monarchia e, da quel leggendario 753 a.C., 7 erano i re che si erano succeduti nella città fondata da Romolo e l’ultimo di questi era Tarquinio, detto il Superbo, di origine etrusca. Proprio a costui il nostro Bruto era strettamente legato…cosa era mai successo e aveva reso netto il passaggio dalla monarchia alla Repubblica?
In questo ci viene in aiuto Livio.
Bruto era nipote del re Tarquinio, poiché figlio di una sorella, ma non correva buon sangue, in quanto il re aveva causato l’omicidio del fratello: temendo di subire la stessa sorte Bruto iniziò a recitare la parte dello “sciocco”, del “brutus”, evitando così di inimicarsi il potente parente. Passarono gli anni e, secondo la leggenda, si giunse al tragico evento del suicidio di Lucrezia, il quale fu la miccia che fece esplodere l’incendio che portò alla fine degli anni della monarchia.
Lucrezia era la moglie di Collatino e parente di Bruto, fu costretta a cedere alle richieste amorose e insistenti di Sesto Tarquinio, figlio del re, e alla fine, di fronte a Bruto, al marito e al padre di lei, si tolse la vita: è questo il momento in cui Bruto pronuncia la frase con cui comincia la nostra storia.
Egli, insieme agli altri, giurò di vendicare questa tragica morte, il corpo della donna venne portato nella piazza principale di Collatia e il malcontento iniziò a dilagare…volontari cominciarono a riunirsi per combattere contro i Tarquini e porre fine al loro regime, tutti sotto la guida di Bruto stesso, riconosciuto come comandante. L’esercito giunse a Roma e anche qui venne raccontata la tragica vicenda di Lucrezia, la quale generò ulteriore rabbia e aizzò gli animi contro Tarquinio.
Questi era ad Ardea, impegnato in una guerra contro i Rutuli ma, quando seppe di quello che stava succedendo a Roma, partì per sopprimere la rivolta. Bruto lo anticipò e raggiunse l’accampamento dove venne accolto dall’esercito: i figli del re vennero cacciati e Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, venne condannato all’esilio.
La monarchia era ormai finita: il tempo della Repubblica era giunto.
Ma abbiamo testimonianze materiali di questo Bruto? In effetti forse sì.
Si tratta di uno splendido busto in bronzo, il cosiddetto Bruto Capitolino, uno dei più antichi ritratti in bronzo romani, conservato ai Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, nella Sala dei Trionfi, sotto gli occhi di un affresco con Lucio Emilio Paolo trionfante sul re di Macedonia: solo la testa è antica mentre una targa ci testimonia la donazione dell’opera nel 1564 da parte del Cardinale Pio da Carpi.
La testa doveva far parte di una grande statua oggi andata perduta e probabilmente di tipo equestre per l’orientamento del volto, leggermente verso destra e volto verso il basso.: si pensa che possa trattarsi proprio di Lucio Giunio Bruto e che quindi il fondatore della Repubblica romana abbia un volto che oggi possiamo ammirare!
La statua è conosciuta fin dal Cinquecento e l’identificazione è stata fatta basandosi sui confronti con i ritratti sulle monete del 59 e 43 a.C. fatte coniare da Marco Giunio Bruto, assassino di Cesare, il quale si proclamava successore di quel primo fondamentale console: l’ipotesi è davvero suggestiva e non è del tutto impossibile…quindi guardiamo più da vicino il volto di questo uomo.
Bruto ha una barba corta e i capelli suddivisi in ciocche ineguali e ben separate, disordinate e realizzate con un ottimo lavoro di cesello. Il naso è aquilino, le labbra sottili, strette e con gli angoli piegati verso il basso, gli zigomi netti e le rughe ben marcate. Gli occhi sono in avorio e, su questi, spiccano iride e pupilla in pasta vitrea, dando allo spettatore la sensazione che lo stiano fissando con attenzione: uno sguardo intenso che crea quasi un senso di disagio e che dopo tanto tempo ancora trasmette tutta la forza e l’energia di questo personaggio.
Tecnicamente è perfetto: realizzato con la tecnica a cera persa ha sulla sommità del capo solo un taglio di 15 cm che, però, risulta perfettamente coperto dalla folta capigliatura.
Il Bruto Capitolino è un perfetto esempio di ritrattistica romana di epoca repubblicana ed è la tanto amata e tipica commistione del periodo tra il realismo e la trasmissione di ideali patrizi di derivazione italica, e la minuziosa resa dei particolari, tipicamente ellenistica. Bruto trasmette tutta la forza della sua personalità, tutta la sua gravitas, tutta il suo orgoglio di appartenenza al patriziato, ma rimane un ritratto ideale, in quanto non eseguito al tempo del protagonista, fatto rivivere grazie al potere dell’arte.
Mostra tutta la bellezza della ritrattistica romana, ben lontana dalla perfezione della statuaria greca, e sempre fedele alla realtà, non immortala un eroe perfetto, ma un “uomo” con pregi e difetti, forze e debolezze.
Bruto è umano ma la grandezza del suo gesto riecheggerà nell’eternità, così come i suoi occhi continueranno a scrutare per sempre chi gli si avvicinerà.
Di Silvia Urtone
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