Di Silvia Urtone
Il suo nome è Santuario di Grotta Caruso e vi si veneravano le ninfe, quelle sfuggenti e splendide divinità acquatiche che popolavano spesso i miti degli antichi Greci. Il luogo mistico, oggi non agevole da visitare a causa del crollo di gran parte dopo il termine degli scavi, si trova in Calabria, nei pressi della città di Locri Epizefiri ed è l’unico ninfeo rupestre della Magna Grecia ad essere stato esplorato in maniera sistematica.
Il suo nome è anche Grotta delle Ninfe e la dimora di queste creature era al di fuori delle mura cittadine, a una decina di metri da quella cinta che circondava l’antica Locri. Qui tracce di vita vi erano anche nel V-IV sec. a.C. e il ritrovamento nella grotta di statuine in terracotta confermerebbe la presenza di un santuario agreste, presente sin dal VI sec. e via via sempre più frequentato fra il IV e il III sec.: un santuario dedicato non solo alla Ninfa della sorgente che scorreva lì vicino ma anche ad altre divinità.
La scoperta del luogo avvenne nel 1940 da parte del professore Paolo Enrico Arias, ma già un anno prima alcuni contadini avevano depredato l'area per poi rivenderne i reperti. Nonostante ciò Arias riuscì ad esplorare bene il luogo e a riportare alla luce moltissime terrecotte votive, tra le quali testine e busti femminili, piccoli Pan, statuette di suonatori di flauto e di cetra, e modellini di grotte e fontane, testimonianza sia dell’alto livello dell’arte di Locri sia dell’attiva frequentazione del luogo.
I reperti oggi si possono ammirare al Museo Archeologico Nazionale di Locri Epizefiri e al Museo Nazionale di Reggio Calabria…ma torniamo alla Grotta delle Ninfe, non più facile da raggiungere ma sempre piena di fascino e mistero.
Grotte naturali con sorgenti dedicate a Pan e alla Ninfe erano molto diffuse nel mondo greco, in primis in Attica, ma solo poche sono state esplorate. Nonostante questo il modello a cui ci si ispirava per la loro sistemazione era lo stesso: diffuso era l’uso di scavare delle nicchie nelle pareti, deponendovi ex voto, statuine, vasi e piccoli oggetti offerti alla divinità, di realizzare portici maestosi nella parte antistante (in genere più monumentali dell’esempio fornito dal nostro ninfeo) e di accedere nel luogo sacro scendendo una scala intagliata nella roccia.
Grotta Caruso si presentava proprio così, come un antro irregolare, con nicchie scavate nelle pareti e un cumulo di pietre su cui poggiava un piccolo altare quadrangolare.
Di fronte alla grotta era presente un bacino per la raccolta delle acque, di una fase più tarda, costruito artificialmente con muretti a secco, cui si accedeva per una scala di sette gradini costruita sempre a secco: il luogo veniva costantemente rifornito di acqua, ma rimane il dubbio su come questo avvenisse e se fosse dovuto alla presenza di una sorgente o a stillicidio dalle pareti. Il ritrovamento, però, a Locri del Ninfeo dell’Imperatore di epoca più recente, alimentato da un acquedotto, porterebbe a credere che anche il ninfeo di Grotta Caruso fosse stato alimentato a sua volta da un acquedotto, altra strabiliante testimonianza delle capacità del periodo!
La via di accesso al ninfeo non è oggi conosciuta e le mura che circondano la collina sul lato corrispondente alla grotta sono continue, ma la presenza di una scaletta sul lato nord-ovest del bacino porterebbe a supporre che l’entrata fosse sul lato settentrionale.
Dallo scavo e dai ritrovamenti risultano esserci state tre fasi nella vita del santuario, la più antica delle quali non è però facilmente precisabile cronologicamente: in questa fase più antica, l’area di culto era costituita da una semplice grotta, priva di interventi architettonici, con un canale di drenaggio in terracotta (prima fase di sistemazione idraulica) che presupponeva probabilmente l’esistenza di un bacino. Nulla fa, purtroppo, capire la sistemazione architettonica di questo periodo, sistemazione che, invece, è possibile intuire nella terza fase del santuario. Grotta Caruso, dopo una seconda fase in cui si cerca di combinare elementi artificiali e naturali, nella sua terza fase, sembra essere caratterizzata da un intento di abbellimento del sito rupestre e una maggiore complessità architettonica si può notare nella presenza di un bacino a gradoni artificiale, munito di un imponente dispositivo idrico, che poteva contenere più acqua rispetto alla soluzione che era stata adottata nella fase precedente. All’interno della grotta era invece stato collocato un blocco parallelepipedo in calcare, probabilmente utilizzato come base per una statua di culto, dietro al quale Arias ritrovò un modellino in terracotta del ninfeo.
Il livello dell’acqua presente nella grotta doveva essere stato pari a 40-50 cm e doveva sommergere il blocco e fare in modo che la statua si ergesse e sembrasse quasi galleggiare, ricoprendo anche il mucchio di pietre che facevano da base al piccolo altare delle offerte. Per le offerte bisognava dunque entrare nel bacino e questo contatto diretto con l’acqua sembra sottolinearne il suo uso sacrale: era probabilmente solo in questi casi eccezionali che era permesso entrare nell’acqua sacra, cosa che di norma era vietata.
La vita del santuario si concluse poco dopo la metà del II sec. a.C., a seguito di un incendio, ma il fascino di questo luogo sacro che da grotta naturale giunse a diventare un edificio interamente costruito, dotato di un portico esterno e di un bacino artificiale, rimane ancora oggi.
E ancora adesso sembra di rivedere nella Grotta delle Ninfe tutte le divinità qui venerate, dalle Ninfe stesse al loro padre Acheloo, da Eros a Dioniso, da Pan a Persefone…sono ancora tutte qui, tra le rocce cadute e il gocciolio dell’acqua, pronte a ricevere la loro libagione e ad esaudire i nostri desideri.
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