Di Federica Pagliarini
I "Bari" (1595) di Caravaggio è un dipinto di piccolo formato che rientra nei cosiddetti quadri "di genere", ossia quei dipinti che rappresentano scene di quotidianità, riprese dalla vita normale di tutti i giorni.
La maestria con cui è stato dipinto è senza precedenti. Guardate l'uomo alla sinistra del giovane che guarda le carte che ha in mano. Sembra un "tipaccio", i suoi occhi sono sbarrati, il viso è truce, scuro, coperto in parte dall'ombra. Indossa i guanti ma due dita sono bucate. Sembra voler suggerire qualcosa al giovane dal volto roseo e candido, ignaro di quello che sta accadendo. Il "baro" (perché in realtà è solo uno) è dipinto di spalle, ha un cappello piumato e sta estraendo dal retro della sua veste delle carte. Interessante notare che sono carte francesi, in questo caso cuori e picche. Dipingere carte francesi era molto più semplice e facile di quelle napoletane che avrebbero fatto perdere più tempo all'artista nella fase di esecuzione. Tutto questo nonostante le carte francesi abbiano un'origine più recente di quelle napoletane; sono infatti nate in Francia nel XV secolo.
Purtroppo non si è riusciti ad identificare il gioco delle carte. Si potrebbe trattare della "primiera", gioco d'azzardo nato prima del più famoso poker e già in auge negli anni in cui vive Caravaggio. In realtà però si è parlato anche del gioco del "Numerus" o del "Cinquantacinque".
La prospettiva usata è molto particolare e poco usata in quel periodo. Il protagonista principale del quadro (il baro) si trova di spalle, ma leggermente di traverso, in modo da poterne scorgere il profilo. L'andamento è dal basso verso l'alto.
I quadri raffiguranti scene di carte erano molto frequenti in quegli anni e volevano rappresentare, oltre scene di vita quotidiana, anche atteggiamenti che venivano considerati "dissoluti", pericolosi. Il gioco delle carte d'azzardo veniva visto come una pratica demoniaca, quindi da rifuggire il più possibile.
Le fonti che probabilmente Caravaggio ha preso in considerazione sono la pittrice Sofonisba Anguissola e i fratelli Campi con la loro "Partita di scacchi" (conservata nel Museo civico di Torino).
I "Bari" sono stati realizzati nel periodo in cui il Merisi si trovava presso il cardinale Francesco Maria del Monte e per il il quale aveva realizzato altri quadri di "genere", come la "Buona Ventura" (di cui esistono due versioni, una ai Musei Capitolini e l'altra al Louvre). Ne parla per la prima volta Bellori e parla dei "Bari" come un esempio dei "primi tratti del pennello di Michele in quella schietta maniera di Giorgione" e cita il cardinale Del Monte come il suo committente. Infatti l'opera compare anche nel 1627 nel lascito del cardinale insieme alla "Buona Ventura". Sul retro di entrambi i quadri è presente il sigillo del cardinale. Nel 1628 il quadro dei "Bari" arriva nelle collezioni del cardinale Antonio Barberini il Giovane. Fino all'inizio dell'Ottocento il quadro era ancora nella collezione Barberini, per poi passare, a causa della spartizione del loro patrimonio, alla famiglia Colonna Sciarra. Sarà il principe Maffeo Barberini Colonna di Sciarra a venderlo ad un'asta a Parigi. Dopo questo evento il dipinto scomparve dalla circolazione e non se ne ebbe più notizia fino al 1986 quando il Kimbell Art Museum lo acquistò da una collezione privata di Zurigo.
Del quadro esistono varie versioni, dato che vennero effettuate molte copie dall'originale del Merisi. La più famosa sono "I bari Mahon" (così chiamati per il collezionista e storico dell'arte Denis Mahon che lo possedeva), conservato a Oxford nel Regno Unito, all'Ashmolean Museum. Dalla maggior parte dei critici l'opera è considerata autentica, quindi si tratterebbe di una copia realizzata da Caravaggio stesso. La cosa non deve stupire visto che il Merisi era solito dipingere più di una copia dello stesso quadro soprattutto nella sua fase giovanile, quando si trovava a Roma. Lo fece per il "Ragazzo morso da un ramarro", per il "Ragazzo che mondo un frutto" e per la "Buona Ventura". La datazione è stata fissata intorno al 1595, quindi più o meno nello stesso anno della versione del Kimbell Museum.
Comments