Di Silvia Urtone
Il fauno è parte integrante della natura.
Per la mitologia greca è il dio della campagna e dei boschi, caratterizzato da fattezze umane ma con piedi e corna caprini, amante del flauto e di tutti i vizi e i piaceri della carne. In seguito venne identificato con il satiro, la creatura legata al culto del dio Dioniso, estremamente lascivo e perennemente ebbro.
Il fauno/satiro è una delle più antiche divinità italiche, metà uomo e metà animale, dedito alle danze e al vino, come una sorta di demone sfrenato e da evitare: per lo più viene rappresentato barbato e con i suoi attributi caprini ma nel corso dei secoli il suo aspetto cambia, così come i momenti in cui viene colto, diventa sempre più umano e giovane e non è raro trovarlo anche abbandonato su una roccia e addormentato, ebbro di vino e di amore.
È proprio in quest’ultima maniera che lo troviamo nel famoso e splendido Fauno Barberini, conosciuto anche con il nome di Satiro ubriaco, un’opera di III-II sec. a.C. che appartiene a quel “Barocco pergameno” che viene a diffondersi nel periodo del Medio Ellenismo nel regno di Pergamo fino a giungere anche a Roma.
La statua in questione, infatti, non sappiamo se fosse stata creata da uno scultore ellenistico della scuola di Pergamo o se invece, più probabilmente, fosse una copia romana di grande qualità.
È collocabile circa al 220 a.C. e quel che è certo è che ispirerà enormemente lo stile che sorgerà in Italia nel Seicento, il Barocco.
Stile drammaticamente teatrale, masse esagerate, espressionismo all’ennesima potenza, gesti esasperati, violenti chiaroscuri, momenti scelti appositamente per impressionare e colpire lo spettatore…tutto questo è quello che si ritrova nelle opere del Barocco pergameno e nel nostro Fauno!
Aumenta l’uso del trapano, il repertorio orientale si afferma creando una commistione tra mondo animale e mondo umano, tutto è più teatrale, tutto è patetismo, i movimenti sono più accentuati, le muscolature eccessive.
Ma la scelta fatta dall’artista sul come rappresentare il protagonista è curiosa: non è attivo, non balla, non beve, non suona il flauto ma dorme, è ritratto nel sonno che segue a una probabile ubriacatura, indifeso, abbandonato e scomposto…ma, prima di vederlo più da vicino, un po’ di storia.
La statua venne ritrovata estremamente danneggiata nel 1624 a Roma, nei fossati di Castel Sant’Angelo, presso il Mausoleo di Adriano: secondo le notizie dello storico Procopio, durante l’assedio di Roma nel 537, i difensori avevano gettato sui Goti le varie statue che decoravano il Mausoleo e Winckelmann ipotizzò che la stessa sorte fosse toccata anche al Fauno (ecco spiegato il perché delle sue parti mancanti). In ogni caso entrò a far parte della collezione del cardinale Barberini, da subito ammirata per la sua bellezza. Più volte venne restaurata finendo da scultura “sdraiata” a “seduta” sopra una roccia. Purtroppo nel 1799 i Barberini dovettero vendere il Fauno a causa di una grave crisi finanziaria allo scultore e restauratore Vincenzo Pacetti, il quale sostituì i restauri in stucco in restauri in marmo e sperava di vendere l’opera a un ricco straniero…ma i Barberini nel 1804 riuscirono a rientrarne in possesso. Alla fine nel 1814 il principe Ludovico di Baviera che stava allestendo la Gliptoteca di Monaco acquistò il Fauno: il cardinale Pacca e Antonio Canova cercarono di vietare l’esportazione del capolavoro ma nel 1820 la splendida opera arrivò a Monaco e lì rimase, collocata in un emiciclo appositamente destinato a lei nella Gliptoteca.
A un primo sguardo il Fauno Barberini appare come un semplice giovane ma alcuni particolari rivelano la sua natura divina, dal pene di dimensioni considerevoli alla coda, dalle orecchie appuntite alla corona di edera e alla pelle di pantera, caratteristiche tipiche della figura mitica del fauno. È sdraiato su una pelle stesa su una roccia, la testa abbandonata all’indietro, le gambe divaricate e scomposte, le braccia ripiegate a creare una sorta di cuscino; il volto è delicato, gli occhi chiusi dietro palpebre che sembrano muoversi per un sogno, la bocca socchiusa, i riccioli scomposti e le ciocche che pendono sotto una corona di fiori: è una creatura che dopo aver bevuto ed essersi abbandonata ai vizi si è rifugiata tra le braccia di Morfeo. Ogni dettaglio anatomico è descritto con minuzia, i muscoli risaltano esagerati, dallo sternocleidomastoideo ai muscoli intercostali che arrivano fin sotto le ascelle, dai piedi ai possenti polpacci forse fin troppo modellati.
La bellezza del fauno addormentato sembra quasi renderlo inoffensivo ma l’occhio automaticamente è portato al suo possente membro mostrato senza ritegno e centro dell’opera, il quale rivela la vera natura del protagonista, ossia quella di creatura sensuale e disinibita.
Il Fauno Barberini è un capolavoro dell’arte ellenistica e dell’arte erotica e non si può che girargli intorno per ammirarlo, oltre che soffrire per la sua mancata permanenza a Roma.
Il Fauno Barberini è tensione, sensualità e bellezza barocca.
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