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Emozione Arte

Il Pittore dei Niobidi e l’influsso della ''grande pittura''.L’arrivo dell’età classica

Di Silvia Urtone


Oggi parliamo del cosiddetto Pittore dei Niobidi.

Un nome estremamente particolare…di cui parleremo più in là!

Vediamo prima quando e dove ci troviamo e cosa sta succedendo nel mondo dell’arte.

Siamo in Grecia, la culla della civiltà occidentale. Il periodo è quello di passaggio tra l’età dello stile severo e la luminosa età classica, il cui inizio è generalmente segnato dalla vittoria di Atene durante le Guerre Persiane con la sua conseguente egemonia militare e culturale. E, a proposito di cultura e arte, le fonti antiche parlano della nascita in questo momento della pittura monumentale, la “grande pittura”.

Nel V sec., infatti, grande è la diffusione della pittura su grandi pannelli lignei fissati ai muri tramite grappe metalliche e protetti da teli o sportelli, e tale è la loro bellezza che in seguito, con l’arrivo della potenza di Roma e la conquista della Grecia, verranno portati nell’Urbe come prezioso bottino di guerra.

Ma chi sono gli iniziatori della grande pittura?

Due i nomi che ci vengono comunicati in maniera concorde dalle fonti, in particolar modo da Plinio il Vecchio: Polignoto di Taso e Micone di Atene, pittori e bronzisti, vicini nel loro ruolo all’interno della pittura monumentale, collaboratori in alcune creazioni ma estremamente lontani per scelte tematiche.

Polignoto, a detta di Plinio il Vecchio, supera la rigidità arcaica e rappresenta per la prima volta caratteri e stati d’animo dei suoi personaggi, mentre le scene su cui preferisce focalizzarsi sono quelle che precedono o seguono episodi drammatici, prediligendo la staticità piuttosto che la concitazione o la violenza, rivelandosi un maestro degli attimi in cui vige la calma. Per quanto invece riguarda la disposizione dei personaggi, l’artista sceglie di raffigurarli in ordine sparso o in gruppi disposti su più livelli, mostrando in questo caso di ricercare nella sua pittura la terza dimensione: per ottenerla le figure vengono nascoste parzialmente dietro la linea del terreno, in un primo grande passo verso la conquista della tridimensionalità!

Di contro Micone viene ricordato in particolare per le sue scene di battaglia, estremamente mosse e ricche di scorci, i movimenti e le azioni concitate. Nessuna delle sue pitture è purtroppo giunta fino a noi e possiamo solo affidarci alle fonti, ma è verosimile che il suo linguaggio, tematiche a parte, si intonasse a quello polignoteo nell’uso dei colori, i quattro fondamentali, e nella composizione.

Ma in tutto questo che cosa c’entra il Pittore dei Niobidi nominato all’inizio?

C’entra perché un’eco della pittura monumentale di Polignoto e Micone la possiamo trovare in due crateri da lui realizzati.

Prendendo a piene mani dalla mitologia i due crateri appartengono a due fasi del pittore, uno a quella giovanile e l’altro a quella di passaggio verso un momento più maturo, ispirandosi entrambi ai due grandi artisti di cui abbiamo appena parlato.

Il primo proviene da Ruvo di Puglia, si trova al Museo Archeologico di Napoli e rappresenta la battaglia tra Greci e Amazzoni: in un turbinio di immagini nella fascia centrale si svolge la battaglia vera e propria, una scena affollata in cui le figure dei combattenti vengono colte in diversi atteggiamenti, con greci armati fino ai denti che soccombono sotto i colpi delle agili ed eleganti donne guerriere. L’abilità tecnica dell’artista è estrema, i dettagli resi con perizia e si nota il tentativo piuttosto acerbo di dare il senso della terza dimensione: lo spirito di Micone aleggia nella creazione del Pittore delle Niobidi!




Di altra ispirazione è invece il cratere a calice di Orvieto conservato al Louvre e dipinto intorno al 460-450 a.C.: qui l’ispiratore è Polignoto e la tridimensionalità sembra conquistare sempre di più la scena.

Proprio a quest’opera, punto di separazione tra una fase giovanile e una fase matura, si deve il nome del pittore.

Sul lato principale si svolge il mito della strage dei Niobidi: secondo la leggenda Niobe si prese gioco di Latona, madre dei divini Apollo e Artemide, vantandosi di essere più feconda e di avere più diritto di lei a onori divini; tutto ciò arrivò alle orecchie di Latona che mandò i sui gemelli a vendicarla e a uccidere i sette figli e le sette figlie di Niobe. Così accadde. Ed è proprio il momento della tragica uccisione dei Niobidi ad essere rappresentato dal pittore, in una scena all’aperto in cui al centro campeggiano Apollo e Artemide, il primo con i suoi attributi di lira e alloro, che scocca una freccia e la seconda nell’atto di stare per scoccare la sua, e attorno tre figli e una figlia di Niobe.

Sul lato opposto vengono rappresentati alcuni eroi, statuari e fieri, tra i quali si riconosce Eracle, al centro con arco, clava e leontè, che si riposano alla presenza della dea Atena: un episodio non chiaro che forse può essere ricollegato alla saga degli Argonauti.

Su entrambi i lati i personaggi sono disposti su piani diversi, parzialmente nascosti da linee ondulate e irregolari tracciate su una superficie nera, che cercano di dare un senso di prospettiva alla rappresentazione nonostante le figure in secondo piano non siano ridotte seguendo le regole prospettiche. Su un lato, nonostante la tragica strage dei Niobidi, regna la calma, e i due gemelli sono freddi e implacabili, immersi in un paesaggio montano. Le stesse scelte sono fatte anche sull’altro lato, gli scudi cercano di dare il senso dello spazio e i seri e maestosi personaggi appaiono isolati e persi ciascuno nel suo mondo.

Vi è tutto Polignoto, l’espressività delle figure, la capacità di rendere lo stato d’animo dei personaggi, le tematiche epiche e tragiche.

La “grande pittura” e la piena classicità dell’età che sta per giungere sono qui, a portata di mano.



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